II
POLITICA
II
Quell’Unione (anomala) traMonti e Bersani
di
FEDERICO PUNZI
oveva essere l’inizio della Ter-
za Repubblica, ma stiamo as-
sistendo all’eterno ritorno delle due
grandi anomalie che hanno con-
traddistinto la politica italiana fin
dalla Prima. Una sinistra che, chiu-
sa nel suo recinto ideologico, non
riesce ad allargare i suoi consensi
oltre la soglia di 1/3 dell’elettorato,
nell’ipotesi migliore; e che per su-
perare la storica diffidenza della
maggioranza degli italiani, per es-
sere credibile come forza di gover-
no, sia agli occhi dei cittadini che
delle cancellerie europee e dei mer-
cati, ha bisogno della legittimazione
di una forza centrista e di una fi-
gura “tecnica”.
A fronte di questo deficit di cre-
dibilità della sinistra, c’è sempre sta-
to un pezzo più o meno consistente,
a seconda delle fasi storiche, del
mondo democristiano, “moderato”
si direbbe oggi, che ha giocato il
ruolo di “sdoganatore” e legittima-
tore della sinistra. Nella prima Re-
pubblica guidando i giochi, nella se-
conda subendoli. Fino alla caduta
del muro il problema non si è posto,
vigeva la “conventio ad excluden-
dum” nei confronti del Pci, al go-
verno solo negli enti locali. Ciò non
di meno non sono mancate espe-
rienze di governo di centrosinistra
- dai primi anni ‘60 con la parteci-
pazione attiva del Partito socialista
di Nenni, fino al cosiddetto “com-
promesso storico”, il tentativo di
coinvolgimento del Pci. Nella II Re-
pubblica fu il democristiano Roma-
no Prodi a guidare i primi governi
di centrosinistra con l’ex Pci prin-
cipale azionista di maggioranza, ma
dotato di una stampella centrista -
prima il Ppi e la piccola formazione
dell’ex premier tecnico Dini, poi la
Margherita. Il progetto del Pd, ori-
ginariamente, doveva servire pro-
prio a superare questa anomalia, la
storica “non autosufficienza” della
sinistra italiana. Eppure, siamo nel
2013, dopo l’inglorioso fallimento
D
dell’ultimo governo Berlusconi, e
torniamo al punto di partenza: Ber-
sani - gli fa onore il suo realismo -
è costretto ad aprire alla collabora-
zione con il centro montiano, con-
sapevole che l’alleanza progressista,
da sola, rischia di non avere i nu-
meri per governare. E che anche nel
caso li avesse, avrebbe comunque
bisogno di spalle più larghe per su-
perare la diffidenza interna e dei
mercati. E Monti - esattamente co-
me Aldo Moro negli anni ‘60 e ‘70,
quando però era ancora la Dc a di-
stribuire le carte, e come Dini,
Ciampi e Padoa Schioppa negli anni
‘90-2000, in una posizione, invece,
di totale subalternità - si presta per
il ruolo di legittimatore della sini-
stra. Con l’unica differenza che que-
sta volta l’accordo non è pre-elet-
torale, ma post-elettorale.
Il calo del Pd nei sondaggi e lo
spostamento a sinistra della sua
campagna per far fronte alla con-
correnza di Grillo e Ingroia sul lato
sinistro, hanno indotto Bersani al-
l’apertura nei confronti di Monti,
sia per rafforzare la sua personale
credibilità internazionale, sia per
non dare agli elettori l’immagine di
un centrosinistra ancora chiuso nel
suo recinto e, dunque, “unfit” a gui-
dare il paese. Ai suoi elettori il se-
gretario del Pd giustifica l’apertura
al centro con la necessità di com-
battere, e ridurre all’opposizione, i
nemici storici, «il berlusconismo, il
leghismo e il populismo». Ma la re-
altà è ben diversa: si tratta di evitare
alla sinistra un’altra vittoria muti-
lata. Come ha risposto Mario Mon-
ti? Ha ricambiato: «Apprezzo ogni
apertura e disponibilità da parte di
Bersani». E siccome i sondaggi non
sono gran ché, fa anche lui esercizio
di realismo e si rimangia l’indispo-
nibilità, precedentemente espressa,
a far parte come ministro di un go-
verno di centrosinistra. A chi gli
prospetta questa ipotesi, il premier
uscente si limita ad osservare che
«sono temi prematuri», ma senza
escluderla. Forse ad oggi «non esiste
alcun accordo con il Pd», ma la
propensione, quella sì, se la capoli-
sta alla Camera in Lombardia di
“Scelta civica per Monti”, Ilaria
Borletti Buitoni, invita esplicitamen-
te a votare Ambrosoli, il candidato
del Pd alla Regione, facendo infu-
riare Albertini. Se Bersani è interes-
sato ad una collaborazione, allora
«dovrà fare delle scelte all’interno
del suo polo», ha detto Monti rive-
lando che quanto meno sono già
iniziate le trattative. Ferma la replica
di Bersani: «Il mio polo è il mio po-
lo e nessuno lo tocchi. A partire da
lì sono pronto a discutere». Che
Monti e Casini pongano al segreta-
rio del Pd una pregiudiziale su Ven-
dola è del tutto strumentale. L’alle-
anza progressista è inadatta a
governare non perché ci sia Vendo-
la, la cui forza rappresenta il 3-4%,
e che tra l’altro è il governatore di
una regione importante come la Pu-
glia, che non sembra in mano ai so-
viet. È la corrente maggioritaria del
Pd, succube della Cgil e delle sue ri-
cette economiche vecchie di mezzo
secolo, a non offrire sufficienti ga-
ranzie. Non sorprende che Vendola
non l’abbia presa bene, ma il patto
tra “progressisti e moderati” dopo
il voto sembra, se non cosa fatta,
uno sbocco inevitabile per entrambi.
E lo stesso Vendola ha firmato una
carta degli intenti in cui si dice che
il centrosinistra dovrà «cercare un
terreno di collaborazione con le for-
ze del centro liberale» e dovrà im-
pegnarsi «a promuovere un accordo
di legislatura con queste forze». Evi-
dente il vantaggio che può trarre
Berlusconi da questa situazione.
L’errore strategico di Monti, infatti,
è che invece di porsi come nuova
offerta politica di centrodestra, chia-
ramente alternativa alla sinistra,
contendendo quindi al Cavaliere il
suo elettorato deluso, ha inteso sfi-
dare il berlusconismo puntando su
una collaborazione con la parte ri-
formista del centrosinistra, che sa-
rebbe il Pd, proprio in chiave anti-
berlusconiana. Ma così l’odore di
una “Unione 2.0” si fa sempre più
persistente, con tutto il suo carico
di contraddizioni e litigiosità. Sta-
volta ancora prima del voto, centri-
sti e sinistra cominciano a litigare
tra di loro e al loro interno, mentre
Berlusconi può già rappresentare
l’unica alternativa al governo dei
“tassatori” Bersani-Monti. Sembra
uno di quei film in cui il protagoni-
sta è condannato a rivivere per sem-
pre la stessa giornata.
segue dalla prima
Vendola: autogoal
di Bersani e Monti
(...) Da un lato la distanza tra centristi e
Pd diventa sempre più marcata e rende
sempre più problematica l’ipotesi di un
governo di sinistra-centro nell’avvio della
prossima legislatura. Dall’altro gli elettori
del centrodestra ancora incerti se tornare
a votare per il Cavaliere scoprono di avere
uno stimolo in più per turarsi il naso e so-
stenere lo schieramento avversario di quel
centro e di quella sinistra incapaci , per
loro stessa ammissione, di dare un gover-
no stabile al paese.
Può bastare l’errore di Monti a favorire
la “reconquista” berlusconiana? Probabil-
mente il Cavaliere non riuscirà a realizzare
il tanto evocato “sorpasso”. Ma è assolu-
tamente certo che, grazie alla spinta delle
polemiche tra Monti e Bersani e tra Ven-
dola e Casini, le probabilità che nel nuovo
Senato il centrosinistra non abbia la mag-
gioranza diventano decisamente alte.
Che potrebbe succedere se tutto questo
dovesse verificarsi? Monti ha già inco-
minciato a parlare della eventualità di
riesumare la grande coalizione . Ma men-
tre il Professore punta all’ingovernabilità
per tornare a Palazzo Chigi come il punto
di equilibrio tra destra e sinistra, qual-
cuno incomincia a fare dei calcoli diversi.
Ed a scoprire che se i sondaggi venissero
confermati il Pd potrebbe fare maggio-
ranza non con i centristi ma con la sini-
stra estrema di Ingroia. Magari con l’ap-
poggio esterno o con il sostegno
dichiarato del Movimento Cinque Stelle.
Chi l’ha detto , infatti, che Beppe Grillo
sia votato a restare a vita all’opposizione?
E se decidesse il contrario? Magari per
precedere e sterilizzare il prevedibile ten-
tativo di Bersani di convincere i neo-par-
lamentari di Cinque Stelle a sostenere un
governo di sola sinistra a colpi di poltro-
ne di sottogoverno?
ARTURO DIACONALE
Giustizia-lumaca
e cittadini vittime
(...) Se venissero rimosse 380mila tonnel-
late all’anno, occorrerebbero più o meno
85 anni per liberare il paese dall’amianto.
L’archivio del Registro nazionale dei me-
soteliomi, comprende fino al dicembre
2011 informazioni relative a 15.845 casi
di mesotelioma maligno, diagnosticati tra
1993 e 2008. La latenza della malattia,
oltre 40 anni, potrebbe far salire ulterior-
mente il numero dei malati, il cui picco
è atteso fra il 2015 e il 2020; e si calcola
che siano circa 680mila le persone esposte
al rischio.
Queste le cifre. Oggi poi aprite le pagine
del giornale che preferite, leggerete titoli,
cronache, commenti di politici e candidati
che chiedono il nostro voto e la nostra
fiducia, producendosi in mirabolanti pro-
messe, e avendo cura di eludere sistema-
ticamente le questioni che contano, come
quella al diritto alla salute e la sua tutela.
E per tornare al caso di Trieste: le morti
di quegli otto lavoratori esposti all’amian-
to vanno dal 1971 al 2000. Quest’anno
hanno chiuso le indagini. Solo 42 anni
(quarantadue!) dal primo caso, solo 13
anni (tredici!) dall’ultimo. Quando dicono
“no” all’amnistia proposta da Marco
Pannella e dai radicali, perché servono ri-
forme strutturali, e tutto l’armamentario
delle banali obiezioni che ripetono a pap-
pagallo, ricordiamoci di vicende come
questa di Trieste.
VALTER VECELLIO
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VENERDÌ 8 FEBBRAIO 2013
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