francesi sono arrivati a Kidal, la
più settentrionale delle roccaforti
delle milizie jihadiste nel Mali. Con
la presa di Kidal, si può considerare
conclusa la fase convenzionale del
conflitto in Africa occidentale. Ades-
so inizierà la parte difficile: la guerra
di contro-insurrezione. Gli jihadisti
di Al Qaeda nel Maghreb e di An-
sar Dine si sono dispersi nei loro ri-
fugi sparsi per tutto il deserto del
Mali settentrionale. Non sarà affat-
to facile andare a stanarli uno per
uno, come dimostrano altre guerre
di contro-insurrezione, come quelle
in Iraq e in Afghanistan. I francesi
possono tentare di mantenere il
controllo delle città e proteggere la
popolazione da future rappresaglie
terroristiche (molto prevedibili, a
questo punto). La tattica difensiva,
già sperimentata sia in Afghanistan
che in Iraq, ha i suoi pro e contro:
da un lato richiede una forte em-
patia con la popolazione, dall’altro
non assicura alcun successo rapido.
Perché si tratta di attendere che sia-
no i terroristi a manifestarsi per pri-
mi, dando loro, tra le altre cose, il
vantaggio dell’iniziativa e della sor-
presa. Insomma, ci sono tutte le
premesse per un conflitto prolun-
gato.
A loro vantaggio, i francesi han-
no il sostegno dei civili. Il Nord del
Mali, l’aprile scorso, aveva procla-
mato la sua indipendenza. L’Aza-
wad, questo il nome del nuovo Sta-
I
to, a maggioranza tuareg, è caduto
in pochissimo tempo sotto la do-
minazione delle milizie jihadiste,
che si sono affrettate ad imporre la
loro legge contro il volere della po-
polazione locale. I francesi, benché
siano gli ex padroni coloniali, sono
stati accolti in trionfo, come libera-
tori. Dopo otto mesi di applicazione
brutale della legge coranica, i mu-
sulmani dell’Azawad non ne pote-
vano più. «Se questo è coloniali-
smo, ebbene è meglio il
colonialismo», ha detto dei francesi
il sindaco di Timbuktu subito dopo
l’ingresso delle truppe europee. La
sua città ha subito una delle più de-
vastanti esperienze di occupazione.
I fondamentalisti islamici hanno de-
vastato la storica moschea e i san-
tuari musulmani sufi, bruciato parte
degli antichi manoscritti, distrutto
le scuole, applicato la pena di morte
e inflitto punizioni corporali per
chiunque non fosse conforme al lo-
ro modo di essere dei “veri musul-
mani”. I francesi, benché stranieri,
benché bianchi, benché ex coloni,
sono visti come una ventata di li-
berazione. A Kidal non si è ancora
insediata un’autorità civile. La città
appare tuttora fuori controllo. Ma
i locali movimenti di liberazione dei
tuareg stanno trattando con i co-
mandi delle unità francesi. L’Mnla
(Movimento di Liberazione Nazio-
nale dell’Azawad) si dice pronto a
collaborare con l’esercito europeo.
Ma non con l’eventuale arrivo di
truppe regolari del Mali.
Ed è questo il vero problema su
cui i francesi dovranno concentrare
la loro attenzione: l’Azawad si
considera liberato dagli jihadisti,
ma non intende tornare sotto il go-
verno del Mali. I tuareg, inoltre,
temono che all’avanzata delle trup-
pe regolari maliane segua quella
delle milizie nere, che possono ven-
dicarsi contro gli indipendentisti.
Parigi sarà dunque costretta a
mantenere le truppe nell’area, per
impedire che, al conflitto religioso,
segua quello etnico.
MARIA FORNAROLI
II
ESTERI
II
La crisi nucleare coreana vista da Pyongyang
di
STEFANO MAGNI
ra tocca anche alla Corea del
Sud. Ieri ha lanciato in orbita
il suo satellite meteorologico. In
un qualsiasi altro momento e in
un qualunque altro luogo del
mondo, questa non sarebbe nep-
pure una notizia. Ma il satellite è
stato lanciato da Seul, all’indoma-
ni delle nuove sanzioni Onu con-
tro la Corea del Nord, un mese e
mezzo dopo il lancio di un missile
nordcoreano e, soprattutto, alla
vigilia del terzo test nucleare del
regime di Pyongyang. «Il lancio
del missile “Naro” da parte della
Corea del Sud non costituisce al-
cun pericolo per il Nord – com-
mentava ieri Yang Moo Jin, pro-
fessore di Studi Nordcoreani
all’Università di Seul – ma dà a
Pyongyang l’opportunità di con-
testare la risoluzione del Consiglio
di Sicurezza dell’Onu. Il Nord può
criticare il doppio standard usato
dalle Nazioni Unite, che permet-
tono al Sud di effettuare il lancio
di un satellite proprio mentre al
Nord viene proibito».
Ora Pyongyang, non solo cri-
tica le Nazioni Unite (come fareb-
be chiunque), ma minaccia diret-
tamente l’uso della forza contro
il Sud. «I provocatori subiranno
una rappresaglia spietata», si legge
in un lungo proclama bellicoso
pubblicato sulla Kcna, l’agenzia
di notizie ufficiale del regime sta-
linista. In un altro lancio della
stessa agenzia, le sanzioni del-
l’Onu vengono paragonate al Pat-
O
to di Monaco del 1938, quando
le grandi potenze imposero alla
Cecoslovacchia di cedere la regio-
ne dei Sudeti a Hitler (dando a
quest’ultimo il coraggio di alzare
la posta, fino a far scoppiare la
Seconda Guerra Mondiale). La lo-
gica di questo parallelo storico,
alquanto contorto, è spiegata così
da un ricercatore dell’Accademia
delle Scienze Sociali di Pyongyang,
Kim Ha-il: «La situazione che si
è venuta a creare dopo il lancio
del satellite della Repubblica De-
mocratica Popolare della Corea,
prova chiaramente che c’è un li-
mite alla capacità delle parti in
causa nel cercare una soluzione
equa ed evitare un aggravarsi della
situazione – perché, si legge in se-
guito – È chiaro come il sole che,
se agli Usa verrà lasciata mano li-
bera nel violare la sovranità della
Corea, un’ulteriore umiliazione
sarà subita dalla Corea e alle parti
in causa saranno chieste ulteriori
concessioni. Dai risultati del Patto
di Monaco possiamo trarre la le-
zione che una singola concessione
a una forza egemonica causa altre
cento concessioni e, in ultima
istanza, la morte. La Repubblica
Democratica Popolare della Corea
non può permettere ad altri di
violare il proprio legittimo diritto
di lanciare satelliti a scopo paci-
fico, non può permettersi di subire
la stessa tragica fine che fecero al-
tri dopo aver sacrificato la regione
dei Sudeti nel nome del “patto” di
Monaco».
Da questa analisi si può dedur-
re che la Corea del Nord stia cer-
cando di chiamare in causa anche
la Cina. Perché il discorso fa leva
sul presunto espansionismo degli
Stati Uniti, intenti, secondo l’arti-
colo della Kcna a: «concentrare le
loro forze armate nella regione
dell’Asia orientale, comprese tutte
le potenze regionali (Cina, ndr),
creando una situazione di grave
confronto militare». Il messaggio
è chiaro: “Attenta Cina, se oggi ci
obblighi a fare concessioni, doma-
ni gli americani verranno a bus-
sare alla tua porta”. La propagan-
da nordcoreana sta anche
rispolverando la paura di un im-
maginario imminente attacco nu-
cleare statunitense. In un lancio
di agenzia di due giorni fa, infatti,
si legge che gli Usa avrebbero
«Trasformato la Corea del Sud nel
loro più grande deposito nucleare
e base avanzata per le loro forze
nucleari nell’estremo oriente. (Gli
Stati Uniti, ndr) tutti gli anni con-
ducono manovre per prepararsi a
una guerra nucleare contro la Re-
pubblica Democratica Popolare
della Corea, sia nel Sud della Co-
rea che nelle sue immediate vici-
nanze, con ampio uso di armi ato-
miche. (Per gli Usa, ndr) la Repub-
blica Democratica Popolare è il
bersaglio di un attacco nucleare
preventivo, come si legge, più vol-
te nei rapporti sulla strategia ato-
mica».
Visti con gli occhi di Pyon-
gyang, anche gli Stati Uniti di
Obama (che stanno facendo di
tutto per ridurre i propri arsenali
nucleari, soprattutto dopo il trat-
tato Start) appaiono ancora come
quelli degli anni più caldi della
Guerra Fredda. Si legge infatti che,
in America vengano condotti re-
golarmente «…serie di test nuclea-
ri, col pretesto di “garantire la si-
curezza degli arsenali atomici”,
mentre somme ingenti vengono
spese per modernizzare le armi di
distruzione di massa. Gli Usa stan-
no concentrando i loro sforzi nei
preparativi di una guerra contro
la Repubblica Democratica Popo-
lare e stanno trasformando Giap-
pone e Corea del Sud nelle loro
basi avanzate, per condurre un at-
tacco nucleare preventivo (…) È
stato riferito, in un giornale sud-
coreano, che il comando strategico
statunitense abbia già predisposto
il piano operativo Oplan 8010-08
nel 2009, che prevede un attacco
agli obiettivi militari, politici e nu-
cleari della Corea, usando armi
sia convenzionali che atomiche (…
) Più gli Usa saranno ostili nei
confronti della Repubblica Demo-
cratica Popolare, più quest’ultima
rafforzerà il suo deterrente nuclea-
re per autodifesa. Le forze armate
rivoluzionarie spazzeranno via gli
imperialisti dalla faccia della Ter-
ra».
È sulla base di questa visione
paranoica del mondo (che era ti-
pica anche di Stalin, a suo tempo),
che la Corea del Nord vede il lan-
cio del missile civile sudcoreano
come uno dei sintomi della guerra
prossima ventura. Oltre a tutto,
la Corea del Sud non è neppure
riconosciuta come uno Stato indi-
pendente e sovrano: Pyongyang la
considera solo una “base avanza-
ta” degli Stati Uniti, il governo di
Seul come un “regime fantoccio”,
costituito da “traditori”. È diret-
tamente con gli Usa che i dirigenti
nordcoreani credono di essere in
guerra. Al fine di rafforzare un
“deterrente per autodifesa”, i nor-
dcoreani si stanno preparando a
rispondere alle sanzioni Onu con
un prossimo test nucleare sotter-
raneo. Non è detto che ci riescano,
ma secondo stime dell’intelligence
statunitense, avrebbero già accu-
mulato abbastanza materiale fis-
sile per confezionare 8 bombe ato-
miche. Non appena saranno
tecnicamente in grado di farlo, le
schiereranno. Come intendano
usarle, non è dato saperlo.
Mali, inizia il lavoro duro
della contro-insurrezione
Pakistan, assolto
un altro cristiano
La Corea del Nord
paragona le sanzioni
Onu al Patto di Monaco
e si vede sotto attacco
Nella sua paranoia,
il regime stalinista crede
di doversi difendere
da un attacco nucleare
arkat Masih, un uomo paki-
stano di 56 anni, un ex indui-
sta convertito cristiano, era stato
condannato a morte per blasfe-
mia. Ieri, la corte di appello lo ha
assolto. Le accuse contro di lui so-
no state ritenute false. Secondo
fonti locali dell’agenzia Asia
News, l’uomo, guardiano di pro-
fessione, è finito nel mezzo di una
disputa fra lavoratori, che vole-
vano occupare senza averne dirit-
to una porzione di terra. Masih
avrebbe impedito l’ingresso in un
ufficio, dove erano conservati i
documenti di proprietà, per man-
tenere fede al compito assegnato.
Al rifiuto opposto dal custode,
due operai musulmani - Muham-
mad Saleem e Muhammad Shoaib
- lo hanno insultato e minacciato,
promettendogli di “fargliela pa-
gare”. Essi hanno presentato de-
nuncia alle forze dell’ordine, che
lo hanno arrestato per “insulti al
profeta Maometto”, una colpa
che può condurre alla condanna
a morte in base all’articolo 295C
del Codice penale pakistano. Tut-
tavia, dopo aver trascorso 18 mesi
in carcere, lo scorso 28 gennaio il
giudice Javed Ahmed dell’Alta
corte di Bahawalpur ha accolto il
ricorso in appello e prosciolto
l’imputato perché il fatto non sus-
siste.
Si tratta di una buona notizia
per tutti i cristiani che sono anco-
B
ra in attesa di una sentenza di ap-
pello. Il caso più famoso è quello
di Asia Bibi, tuttora in carcere e
condannata alla pena capitale da
un tribunale di primo grado. La
bambina Rimsha Masih (stesso
cognome di Barkat, ma non è sua
parente) è invece stata prosciolta,
lo scorso autunno, dall’accusa di
aver profanato una copia del Co-
rano. Anche in quel caso, un giu-
dice ha riconosciuto la falsità
dell’accusa, che era stata mossa
da un locale imam radicale al solo
scopo di fomentare l’odio contro
i cristiani che abitano nella peri-
feria di Islamabad. Qualcosa sta
migliorando per i cristiani paki-
stani, insomma. Le due sentenze
positive giungono come un picco-
lo rinnovamento politico. E due
recenti omicidi eccellenti hanno
sensibilizzato le autorità: Shahbaz
Bhatti (il ministro cattolico delle
minoranze) e Salman Taseer (go-
vernatore del Punjab) non sono
morti invano. Certo, però, resta e
rimarrà a lungo la legge sulla bla-
sfemia, la “legge nera” del codice
penale pakistano, che continuerà
a legittimare la “caccia all’infede-
le”. Basandosi sul semplice sospet-
to, chiunque potrà ancora “farla
pagare” al proprio datore di la-
voro, al proprio vicino di casa, al
proprio rivale in affari o in amore,
al proprio nemico di famiglia.
GIORGIO BASTIANI
L’OPINIONE delle Libertà
GIOVEDÌ 31 GENNAIO 2013
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