uando ho iniziato a vedere “Hunted”,
ho consigliato a tutti gli amici di veder-
lo. Adesso che la prima serieè conclusa, non
lo sto dicendo più a nessuno. Ma è una serie
pessima? No, di sicuro no. “Hunted” è una
spy story girata e sceneggiata molto bene,
che ha molti pregi e alcuni difetti: quello più
grave? Un finale poco convincente perché
tronco. Ma partiamo dall’inizio: “Hunted”
è la storia di Sam Hunted, agente operativo
dell’agenzia investigativa privata “Byzan-
tium”. Nonostante la scarsa fantasia nella
scelta del titolo, la serie è un continuo intrec-
cio di colpi di scena e di intrighi. L’incipit è
semplice: qualcuno vuole far fuori Sam Hun-
ted, e per farlo decide che
un bel po’ di pallottole in
panza sono un buon me-
todo. Da qui si innesca la
storia: Sam cerca in tutti
i modi di scoprire chi la
vuole morta, perché solo
così potrà dormire sonni
tranquilli di notte. Nel
contempo deve cercare
anche di svolgere il suo la-
voro come agente privato,
in un caso di spionaggio
industriale. A questo si
mescoleranno poi cospi-
razioni & corporazioni,
che sono un argomento che fa presa su un
certo pubblico. “Hunted” è un telefilm girato
con sguardo freddo e chirurgico, in cui i pro-
tagonisti vivono con un distacco che non rie-
sce a far provare empatia al telespettatore.
Nel contempo questa scelta è anche funzio-
nale, perché le azioni che compiono non sa-
Q
rebbero altrimenti giustificate. Siamo lontani
da “Alias”, anche se la protagonista, Melissa
George, faceva parte del cast. Fotografia e
regia sono perfette, talmente perfette da la-
sciare un po’ straniti, tanto da percepire una
certa lentezza anche nelle scene più veloci e
spettacolari. Forse manca di sentimenti, che
ci sono ma non raggiungono il cuore del te-
lespettatore, se non nel caso di un paio di
personaggi secondari. Ma non basta. Bella
in ogni caso la scelta di ambientare la prima
serie a Londra, e le successive in capitali eu-
ropee diverse di volta in volta. Pare che la se-
conda, se si farà, sarà ambientata a Berlino.
È sicuramente una serie consigliata a chi cer-
ca una serie breve scritta
bene e con diversi colpi di
scena. Ma si ferma qui,
senza riuscire a trasmet-
tere un’epica, a colpire al-
lo stomaco, a far tifare
per i personaggi. Lo spet-
tatore si trova a osservare
la serie senza trovare mo-
tivo per entrare nelle vite
dei personaggi (...). Visti
gli spunti e le premesse,
avrei apprezzato maggior
coraggio nel chiudere tut-
te le trame, e magari fare
un codino finale con uno
spunto che poteva essere poi sviluppato una
volta sicura la seconda serie. Il mio giudizio
finale è che sia un esperimento riuscito solo
in parte. Una serie avvincente e ben realizzata,
ma a cui manca qualcosa.
SIMONE MARZINI
on sono un evasore fiscale, anzi... Tut-
tavia, o, forse, proprio per questo, i titoli
dei giornali sul redditometro mi hanno al-
quanto turbato. Soprattutto la storia delle
pentole. Non che ne abbia molte, ma sono
vecchie ed ho avuto anni e decenni per affe-
zionarmi a ciascuna di esse. L’idea di doverne
gettar via qualcuna per non essere classificato
Paperone dei Paperoni, con quel che segue
per accertamenti e cartelle esattoriali, fran-
camente mi sarebbe sembrata una grave vi-
gliaccata, prima d’ogni altra cosa. Poi i titoli
dei giornali (di fronte a certi titoli io mi rifiuto
sempre di leggere l’articolo, o trovo un alibi
per non leggerlo) si sono fatti meno allar-
manti. E, come al solito è
arrivato il contrordine.
“Contrordine, compagni,
il redditometro sarà im-
posto solo ai ricchi” o
pressappoco. I pensionati,
sempre secondo i titoli dei
giornali, ne saranno esen-
tati. Questa storia del red-
ditometro “ragionevole”,
“comprensivo”, malgrado
le pentole, pone il coper-
chio della sciocchezza a
questo ennesimo ridicolo
spauracchio. Non che mi-
surare la ricchezza, l’esi-
stenza del reddito dal numero delle pentole
e magari, delle padelle, non sia già, di per sé;
abbastanza sciocco (tra l’altro la “cucina po-
vera” richiede un numero maggiore di pen-
tole e pentolini per dar sapore anche al nulla).
Ma l’idea che uno strumento che dovrebbe
consentire al Fisco, semmai, di “scoprire” chi
N
è ricco e chi è povero e, in pratica gli evasori
totali (ché, per quanto fessi, quelli dell’Agen-
zia delle Entrate mai si sognerebbero di “gra-
duare” i redditi commisurandoli al numero
ed alla capienza delle pentole e dei pentolini),
non si applichi a chi è povero è una ulteriore
solenne sciocchezza, una “petizione di prin-
cipio” come dicevano i retori. Un circolo vi-
zioso. Le cose sono due: o il redditometro è
una sciocchezza, ed allora non si vede perché
si dovrebbe combattere l’evasione con un’ar-
ma simile. Oppure serve a qualcosa. A sco-
vare i “falsi poveri” e - attenzione! - proprio
quegli strani personaggi che, figurando come
poveri pensionati e nullatenenti, sono, magari,
dediti ad affari più o me-
no limpidi ed hanno oltre
alle pentole, carne di pri-
ma scelta per riempirle.
Mi pare che se i pensio-
nati non sono pensionati
e basta, ma hanno ben al-
tri redditi occulti, sono
quelli che il Fisco dovreb-
be cercare di scovare. Ma,
anziché farlo si esentano
proprio loro dal test delle
pentole e da quant’altro
consenta, come si affer-
ma, a questo redditome-
tro di accertare un fatto
di indizi di falsa povertà ed, invece, di ric-
chezza. Conclusioni. Pentole o non pentole
il redditometro ha un grande coperchio. Il
solito coperchio della buona volontà di leggi
e leggine: il coperchio della sciocchezza.
MAURO MELLINI
Le pentole e i coperchi
del“mite”redditometro
Le cose sono due:
o il redditometro
è una sciocchezza,
e allora non si vede
perché si dovrebbe
combattere l’evasione
con un’arma simile.
Oppure serve a qualcosa
Hunted, una spy story
perfetta. Forse troppo
Una serie tv girata
con sguardo freddo
e chirurgico, in cui
i protagonisti vivono
con un distacco
che non riesce proprio
a far provare empatia
al telespettatore.
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GIOVEDÌ 31 GENNAIO 2013
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