C’è “Il Metodo” a Roma

Avete mai pensato di fare una selezione come dirigente Ikea? Allora, non dovete perdervi "Il Metodo", dell’autore catalano Jordi Galceran, spettacolo assai poco metodico, che va in scena alla Sala Umberto di Roma, per la regia di Lorenzo Lavia. La scenografia chiarisce, ante litteram, la cornice dello pseudo dramma: una grande sala disadorna, con tre poltrone gialle attorno a un tavolino basso e un reticolo fitto di abbaglianti luci al neon; una sorta di brutta copia in rosso del rotondetto piccolo robot di “Guerre Stellari”, con funzioni musicali; infine, un simbolico arco imperiale a tutto sesto, trasparente e sottile, che chiamerò in codice “X-Factor”. La sua immagine... fisica? Un tubo bianco in plexiglas che costituisce la struttura aerea di un condotto attraverso il quale - con un sibilo vagamente demoniaco e inquietante - transitano le ogive che arrivano da un misterioso ufficio del personale sovrastante, attraverso la posta pneumatica, oggi non più comune, in questa moderna società digitale.

In scena quattro amletici tipi umani: tre uomini e una donna. In apparenza, tutti candidati per una posizione di top manager in una grande azienda svedese. In sostanza, poco a poco, le due coppie di figure sembrano evocate dalla penna di Pirandello, quando descrive in modo magistrale i suoi “personaggi in cerca di autore”. Sì, perché lo scenario è una nuvola intricata di discorsi e storie che viaggiano indistintamente tra finzione e realtà. A cadenze regolari i loro caratteri vengono letteralmente stravolti dai messaggi in bottiglia contenuti nelle ogive. Come un “puntatore” di caratteri, X-Factor decide di stampare ora sul volto dell’uno, ora dell’altro un profilo a sua scelta. E ne viene fuori un gioco al massacro che associa il più spietato cinismo dei pool di psicologi addetti alla selezione del personale, alle prove impietose degli Actor Studios. Sicché, si inizia con fomentare il dubbio nei quattro concorrenti, segnalando tra di loro l’esistenza di una “spia” dell’ufficio personale, subito individuata da uno dei candidati, il più tosto, apparentemente privo di scrupoli, che intende arrivare diritto al suo fine: ottenere l’agognato posto.

I colpi di scena - oltre che dalle ogive - sono ritmati dall’improvvisa inversione dei dialoghi, che passano dalla fase esplorativa del “Chi sei? Che cosa fai?” reciproca, alla veemente accusa di essere, a turno, l’odiata spia. Molti dei giochi di ruolo sono spinti fino all’eccesso dell’alterazione emotiva, in cui intervengono, come tempeste a ciel sereno, i drammi di finte, dolorose separazioni o morti improvvise di madri gravemente malate abbandonate in una sala rianimazione dell’ospedale, pur di non mollare la presa della presenza, pena l’immediata esclusione dalla selezione per colui/colei che dovesse abbandonare la sala del supplizio. Dentro, come Erinni furiose, irrompono confessioni devastanti relative al cambiamento di sesso per uno dei protagonisti e altre spietatezze indotte, affinché ciascuno rinunci alla propria umanità, procedendo, ogni volta che è possibile, all’esecuzione simbolica degli altri contendenti costretti all’abbandono.

Ma la parte davvero cruda e emozionante giocata sulla corda del famoso motto “Mors tua, Vita mea”, è quella in cui l’X-Factor assegna a loro, gli aspiranti, il dover decidere - attraverso la finzione del licenziamento - la perdita, o meno, del posto pregresso di lavoro di uno di loro (nella fiction tutti e quattro risultano già occupati, essendo lì per migliorare economicamente la propria posizione personale), o l’esclusione di qualcun altro dalla selezione, perché “diverso”. Così, i casi umani perfettamente simulati, con tanto di commozione, passionalità e perfino lacrime, vengono letteralmente lamellati dalla pressa immane dell’ambizione individuale, perché la Pietas è un tutto tondo che deve scomparire in un mondo che non può e non vuole fare sconti a nessuno, per soldi e per potere.

Il finale, però, vi sorprenderà davvero. Perché colui che sembra impugnare la spada invincibile di Artù, si rivelerà al contrario un guerriero di latta, vinto proprio da quella ipersensibilità femminile che lui, nei giochi di ruolo, aveva creduto di umiliare e sconfiggere. Vedere per credere. Spettacolo davvero interessante. Sinceri complimenti a tutta la compagnia!

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 15:20