Arte e Potere:   splendori e miserie

L’arte fornisce un universo di forme illusorie, di rappresentazioni e di spettacoli, che moltiplicano i livelli di realtà, ed è questa sua caratteristica che la mette in stretto contatto con il potere. La caratteristica essenziale richiesta all’arte dalle diverse tipologie di potere è senza dubbio la grandiosità delle forme con cui si esprime, in quanto anche i regimi democratici hanno la stessa probabilità di quelli totalitari di impiegare l’arte come strumento di governo. Tuttavia, val la pena chiedersi: esiste, nei fatti, un’arte tipica dei regimi totalitari, democratici o nazionalisti, sulla base di tratti distintivi dell’uno quanto dell’altro, caratteri fissi e permanenti o il concetto di grandioso può indifferentemente dar conto delle opere di un regime totalitario quanto delle opere di quello democratico?

Il passaggio dal potere di un unico committente al potere della collettività, che ha al centro un ideale politico inteso come unico e rispettabile impegno per la comunità, non segna la fine dell’attitudine al grandioso, poiché i politici contemporanei hanno lo stesso interesse a conquistare e conservare il sostegno della massa, anche se, almeno palesemente, non hanno quello di compiacere la propria vanità o il proprio prestigio. Con l’avvento delle democrazie, dunque, il grandioso prodotto dall’arte non ha motivo né occasione di porsi come autocelebrazione del singolo ma, piuttosto, di coscienze collettive, quasi sempre connotate da precisi riferimenti territoriali, regionali, talvolta persino continentali, che trovano negli eventi più disparati, non solo artistici o architettonici ma anche sportivi o spettacolari di varia indole, momenti di esaltazione della propria identità e della propria detenzione del potere legittimo.

Al messaggio simbolico che nel grandioso classico confermava la distinzione di ceto e di ruolo fra il committente e il popolo, si è andato sostituendo un’evidente ma seducente dimensione “partecipativa” nella quale si possono fondere e confondere la paura e l’incertezza per i ritmi della quotidianità e il desiderio di dimenticare la propria individualità nel grigiore consolatorio della massa. La presenza preponderante e obbligata dei media rafforza il controllo sociale, attraverso l’omogeneizzazione di una quantità enorme di informazioni e di “prodotti culturali”, sia che si tratti di conoscenze, di idee, di opere, di modelli di comportamento. Con i media, la funzione comunicativa del grandioso contemporaneo è immediata, pervasiva e persuasiva e concorre così ad abolire la differenziazione fra i gruppi e, fra questi e la struttura tradizionale della personalità. Nel momento stesso in cui il grandioso è di massa si nega la plausibilità di un qualsivoglia potere tradizionale in nome di un’utopica e democratica società globale. Esso restituisce alla vista un ruolo primario, facendone cioè la sola condizione necessaria e sufficiente, perché essa accomuna per eccellenza. Vedere piuttosto che guardare, coerentemente con l’utopia stessa del potere democratico che, non a caso, è piuttosto indifferente al fatto che ciò in cui si esibisce sia o non sia artistico. Infatti, a differenza del potere assoluto, il quale per autocelebrarsi si circondava di grandi artisti, quello democratico si “accontenta” di produttori, dunque i personaggi che al più sostengono di praticare arte. Non arte per le masse – come, ad esempio, in certi momenti di propaganda dei regimi totalitari – ma arte delle masse.

Ed è così che attraverso la dimensione rarefatta di un protagonismo condiviso e paritario, il grandioso contemporaneo si presenta agli occhi degli utenti come uno spazio in cui si determina cosa e come debba essere considerata un’esperienza estetica autentica. Sulla scia di un pensiero estetico che, di fatto, non fa che amplificare una crisi interna al fare artistico, si diluisce il concetto di arte in mille rigagnoli, presuntuosamente o ingenuamente nell’illusione che suo significato non andrà disperso, ma, al contrario, saranno le esperienze quotidiane a uscirne nobilitate.

Sullo sfondo però, attende più che mai una risposta, l’ambigua questione della democraticità dell’arte, della sua capacità di proporsi a chiunque o, piuttosto, solo a chi coltivi una genuina propensione critica estetica.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:34