I versi dell’amore  di Guido Catalano

Tanti anni di attività, e ora per il poeta torinese Guido Catalano - classe 1971 - è arrivato il successo editoriale. Con l’uscita a febbraio della sua raccolta di inediti “Ogni volta che mi baci muore un nazista”, è partito il suo ennesimo tour italiano di letture accompagnato da un chitarrista, e la tappa di Roma - all’Auditorium Parco della Musica - è stata occasione per incontrarlo.

Com’è iniziato, e in che ordine, il suo rapporto con la scrittura e nello specifico con la poesia?

Ho cominciato verso i 17 anni, scrivendo testi per canzoni che poi cantavo, male; avevo un gruppo al liceo, e poi all’università, volevo fare la “rockstar”. Mi sono divertito, poi la band si è sciolta e io ho continuato a scrivere, perché l’esigenza c’era, e quei testi sono diventati poesia, un ambito che amo anche a prescindere dalla musica.

Quali sono stati, e sono, i suoi riferimenti?

Come la maggior parte dei maschi amanti della poesia, a un certo punto ho conosciuto l’opera di Charles Bukowski, un artista che tendenzialmente a scuola non insegnano, e questo mi ha fatto capire che esisteva anche una poesia diversa da quella che avevo studiato. Sono anche un appassionato di Jacques Prévert, e poi c’è Cesare Pavese, un mio concittadino, che mi piace. Mi ispiro molto anche ad altre forme artistiche, i cantautori italiani sono la mia passione, da Francesco De Gregori a Lucio Battisti, che con Mogol ha scritto canzoni notevolissime.

In lei, l’ispirazione che meccanismi segue, ha propri momenti, leggi, abitudini?

Ci sono, e sono cambiate negli anni. Una volta arrivava un po’ come un fulmine, scrivevo quello che mi capitava, adesso ci lavoro di più. Mi ispiro molto all’esperienza diretta, a ciò che sento e vedo, mi piace captare i discorsi delle persone: sono sempre in ascolto, credo sia importante per chi scrive.

Secondo un luogo comune, la Musa è connessa a moti interiori, spesso vicini alla sofferenza. Nel suo caso?

La sofferenza sicuramente è un ottimo motore, penso proprio per fare poesia. Io scrivo per lo più poesie d’amore, perciò l’esperienza amorosa, anche sofferta, è una triste e ottima fonte; per fortuna anche l’amore felice. Comunque parlo molto di me stesso, quindi mi rifaccio ai miei moti interiori.

Cosa l’ha spinta all’esibizione dal vivo?

Tanti anni fa, quando ho cominciato a scrivere poesie, non esisteva Internet, e per far conoscere il mio lavoro a un pubblico - anche perché non lo avevo ancora stampato - ho avuto l’idea di gettarmi nei bar di Torino a leggere le mie poesie. La mossa ha funzionato, già ai tempi mi sono avvalso di ottimi musicisti, con cui continuo a collaborare. Mi piace molto la commistione tra poesia e musica, e da allora non mi son più fermato.

Per l’ironia, che caratterizza i suoi versi, secondo lei esiste una predisposizione?

Esiste “solo” una predisposizione, è un dono naturale, come anche il senso dell’umorismo, non si può imparare a un corso, e tra l’altro salva. Io adoro le persone ironiche, penso di avere questo dono e lo metto dentro a quello che scrivo. Pur lavorando molto seriamente, cerco di non prendermi mai troppo sul serio e spesso parlo d’amore in maniera ironica, a volte anche comica.

Fin dall’inizio, ha mantenuto un legame con l’universo musicale: l’accompagnamento di un chitarrista, un tour e il nuovo libro che è una raccolta di inediti, come fosse un album.

Senz’altro. Già il fatto che soprattutto negli ultimi anni i “live” io li faccia in luoghi dove normalmente si suona, come i club, naturalmente è un po’ un mi rifarmi al mondo della musica, pur non essendo un musicista. D’altra parte, penso alla poesia come a una canzone, con il ritmo e la musica incorporati, quindi probabilmente io sono un po’ un misto: sicuramente un poeta, ma forse anche una specie di cabarettista, e mi muovo pure come un musicista, faccio un tour e - al posto di incidere dischi - scrivo libri. Questo mi diverte molto.

La domanda viene spontanea: il titolo “Ogni volta che mi baci muore un nazista” da dove viene?

È il titolo di una poesia contenuta nella raccolta, come spesso mi capita. In questo caso, il bacio è come un sintomo d’amore, e quindi antidoto al male, al male di vivere. Il nazismo chiaramente è un’esagerazione, ma l’ho preso come una delle espressioni peggiori che l’essere umano sia riuscito a inventare.

Qual è la dimensione della poesia, oggi, e quali crede che siano le ragioni del suo successo personale?

Per quanto mi riguarda, c’è un lavoro notevole, sono circa 18 anni che batto il ferro senza mai fermarmi, ho fatto tanta gavetta. Prima, il passaparola ha avuto un ruolo fondamentale; poi è arrivato Internet, ho aperto un “blog” e i “social network” mi hanno aiutato molto, quindi è aumentato il pubblico nei “live” e anche quello che compra i miei libri. In generale, ho la sensazione che negli ultimi anni la poesia abbia una sorta di rinascita. Tanti anni fa mi sentivo solo, adesso - tra “poetry slam” e “reading” - un po’ in tutta Italia ci sono persone, anche molto giovani, che portano la poesia pure in luoghi non convenzionali.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:33