Renato Guttuso tra comunismo e capitalismo

La personalità più riconoscibile nella contraddittorietà dell’essere comunista in una società non comunista era nettamente riscontrabile in Renato Guttuso. Guttuso viveva con la marcia della vita premuta all’esasperazione, perfino nell’accendere una sigaretta, da fumatore incontrollato, gli scattava un nervosismo nei movimenti, per la forza che l’impossessava. Lo conobbi negli anni Sessanta, il volto di fenicio siciliano, giallo-marrone, capelli all’indietro e tensione da predatore famelico. Di vita e di donne. Lavorava come un dannato e cercava di vivere quanto dongiovanni. Di tutte le personalità di quegli anni che io, per un saggio su Nuovi Argomenti e un testo di poesie da Vallecchi, fortunatissimi, conobbi con disinvolta frequentazione, Renato Guttuso, con Rafael Alberti, era il più maschio, uomo, virile, in un mondo talvolta assai incerto, o moralistico, tenuto conto che vigeva un duplice supporto morale, quello cattolico e quello comunista, il secondo categorico e contraddittorio, giacché era inspiegabile , abolito il “peccato”, perché limitare la gioia di vivere. Ma la lotta di classe prevaleva e ingabbiava. Per inciso: fui in conflitto ultimo con L’Unità, proprio perché un mio libro, Il marxismo tra il sesso e la morte, esplicava che il marxismo, almeno a quei tempi, non considerava i problemi sessuali ed esistenziali.

Guttuso si era costruita un’identificazione, quel segno-disegno veemente, che racchiudeva i due universi a lui carissimi, le donne e la Sicilia. Renato Guttuso si innamora dei tegolati, dei limoni, delle agavi, dei fichidindia spinosi e palmati, dei muri sberciati, dei carretti illustrati di contadini e paladini. Ne aveva fatto scuola a Bagheria, ragazzo, li esprime con un segno-disegno, dicevo, che scolpiva la tela, un getto immediato da dentro a fuori, quelle immagini gli prudevano le dita e si scaricava disegnando o dipingendo. La pittura in Guttuso fu un disegno colorato, l’arte sua fu il disegno. Che spettacolo, a casa sua, faccio per dire, nella sua reggia, a Salita del Grillo. Era stata abitazione di Gian Lorenzo Bernini, credo. Ricordo quei fogli che Guttuso tracciava di scosse e ne venivano tegolati, limoni, asinelli, coppole, volti di contadini. Li amava, non era manierismo, li amava, lui siciliano era quel siciliano, quel siciliano contadino, mentre un altro pittore siciliano, Giuseppe Migneco, i cui quadri conoscevo da ragazzino essendo mia madre amica della consorte di Emilio Migneco, fratello di Giuseppe, amava la Sicilia dei pescatori.

Dava pranzi regali, Guttuso. Commensali da storia dell’arte, Rafael Alberti, Miguel Ángel Asturias, Premio Nobel, con la piccolissima moglie Blanque, María Teresa León, moglie di Rafael Alberti, una comunista implacabile, Elsa De Giorgi, Alberto Moravia. Ma faccio solo un minimo esempio, una sera da Elsa De Giorgi erano ospiti Corrado Cagli, Giorgio De Chirico, Renato Guttuso, Carlo Levi, Agostino D’Avack, Rafael Alberti. Giravamo. Vi era un “ambiente”, allora. Guttuso aveva una consorte, Mimise, la quale non soltanto era più anziana di Renato, ma aveva sofferto un incidente di auto, un braccio le era stato incollato, il volto le si era scomposto. Mimise, un’aristocratica del Norditalia, doveva essere stata bellissima, in casa un ritratto di Renato la dipingeva, capelli rossi e occhi azzurri; mi sembra, perfino in quelle condizioni al presente, elegante, con accresciute incipriare per coprire le guance malandate. Con matita o pennello “i fimmini” erano l’altro universo di Guttuso. Ormai è una acquisizione pubblica la maniera brusca, caratterizzata con la quale egli esibiva i corpi della donna, quelle chiome cespugliose, che sembravano i capelli al vento di Elsa Morante, siciliana di origine, le anche muscolose, i seni in fuori, e l’aria di una drammatizzata voglia di vivere, la scoperta dell’erotismo, annuncio del 1968.

È il Guttuso più riuscito, che si sottrae al moralismo. Poi c’è il Guttuso che paga l’obolo del Partito comunista, non falso, non servo, ma di un realismo illustrativo e niente di più. Non è illustrativo il Guttuso delle lotte contadine, tragiche, paragonabili alla “Crocefissione” del 1942 che fece subbuglio e lo evidenziò: aveva trent’anni. Non è giusto, però, occultare quanto spietata fosse la sua guerra contro gli informali, gli astrattisti. Che il realismo figurativo alla Guttuso, fattosi teoria della giusta pittura ideologicamente approvata dal partito, rovinasse artisti che figurativi non erano, è desolantemente noto. E Guttuso non risparmiò alcuno. Spadroneggiò. Nelle Mostre, nelle gallerie, nel mercato. E ne vennero limiti all’arte italiana. Almeno fino agli anni Sessanta. E tra le vittime del partito e forse di Guttuso vi fu una delle più limpide, ingenue figure di artista, Leoncillo Leonardi, messo sul lastrico perché non “realista”.

Una sera Renato, che oltre il resto amava bere, credo che avesse colmato e svuotato qualche bicchiere in eccesso. E cominciò una discussione con l’impeccabile Carlo Levi, uomo di tutt’altra natura, Renato chiedeva a Carlo Levi se egli, Renato, doveva sentirsi in colpa di vivere da miliardario professandosi comunista. Levi, con gli occhiali sospesi da un filo sul petto, ricciutissimo, il raffinato profilo, impettito, panciutello, cercava distanza, dalla confessione e dagli odori, mentre Renato lo accostava e diventava più querimonioso dicendosi colpevole di avere ricchezze, comunista quale si di chiarava! Levi arretrava e taceva, suppongo con qualche irritazione, essendo, oltretutto, riservato. Ma c’era dell’altro. Levi non era ricco al grado di un Giorgio de Chirico, un Guttuso, lo stesso Alberto Moravia. La “Confessione” di Guttuso lo scomodava per il prurito morale che poteva riguardare anche lui, e, ritengo, soprattutto, perché Guttuso, in fondo, esibiva la sua ricchezza. Al punto che oggi sospetto Renato facesse scena per divertirsi su Levi, il quale, forse, giudicava Renato un “picciotto” fortunato. Ma non lo credo. Guttuso pativa la contraddizione, di vivere da riccone lottando per il “popolo”. Non era ipocrisia. Era una contraddizione reale. La vita di ciascuno ne contiene. Restano, di Guttuso, la Sicilia amata, che sparisce, le amate donne. I sensi! La frenetica voglia di vivere. I corpi. La corporeità. E, per chi lo ha frequentato, un uomo di spontaneità generosa, di coinvolgimento vitalistico. Certo, ci sarebbe da aggiungere, ad esempio sul rapporto fraterno, e ostile poi, per contingenze sul “caso” Moro, con quel siciliano libero, critico, integro che fu Leonardo Sciascia. Ma in tal caso, occorrerà scrivere di Leonardo Sciascia. Pubblicai su Guttuso un ampio saggio, andai a trovarlo, lesse, finì, e di scatto afferrò una sua tempera e me la dedicò. Divenne la copertina di un mio libro. E un fermo ricordo. Un comunista, ma soprattutto un siciliano.

Aggiornato il 08 aprile 2023 alle ore 00:56