Milan Kundera, l’unico Milan per cui ho tifato

L’insostenibile leggerezza dell’essere – il libro, sia chiaro, non il successo di Antonello Venditti, che prende ispirazione dal romanzo – non sono riuscito mai a leggerlo. O meglio: non me la sono mai sentita. D’altronde, ogni qualvolta i miei polpastrelli si sono posati su questo volume, magari tra gli scaffali della Feltrinelli sotto casa, nella mia mente riecheggiavano le parole amiche della Vale: “È una lettura che destabilizza; affronta quelle pagine quando la tua vita è placida come il mare piatto e cesellato d’azzurro”. Ergo, niente da fare. Ad oggi è rimasto un pallino, più o meno come La Recherche del buon Marcel Proust. Epperò. L’incontro con Milan Kundera è stato tra i più piacevoli, in termini letterari, che ho avuto fin qui, accompagnando le fasi di un’esistenza spalmata lungo una provincia intera. Con L’ignoranza ho accarezzato la nostalgia di luoghi lontani e di tempi andati; con Il libro del riso e dell’oblio ho assaggiato il potere narcotizzante dei ricordi; con Un incontro ho avuto il piacere di conoscere intellettuali raffinati e geni superbi.

E poi La lentezza, L’identità, Il valzer degli addii fino all’ultimo libello: Un Occidente prigioniero. Ovvero una sorta di testamento politico ed etico che lo scrittore ha lasciato a tutti noi. D’altro canto, Milan Kundera ha vissuto sulla propria pelle la distopia partorita dal socialismo reale. Un’ideologia capace di corrodere, fin nel profondo, l’essenza dell’individualismo. Ed ecco il motivo per cui il filo conduttore della sua intera opera – al di là di un certo surrealismo narrativo – consiste nella ricerca delle mille e più sfaccettature della realtà, nell’osservazione della complessità ontologica del quotidiano e, infine, nella capacità di scolpire l’identità del singolo. Un’identità che, per quanto annichilita dai pensieri forti e dalle varie sovrastrutture concettuali, alla fine emerge, emerge sempre. Non ha mai vinto il Nobel. E questa è stata senza dubbio un’onta. Ma per l’Accademia di Stoccolma. Certo, non per lo scrittore.

Aggiornato il 13 luglio 2023 alle ore 12:36