“La zona di interesse”, oltre la banalità del male

La vita piccolo-borghese del comandante in capo del campo di sterminio di Auschwitz. Con la bella famigliola fatta di moglie e cinque figli che vive in una villetta foresteria dotata di piscina, giardino, un cavallo e tutto quel che può sognare nella Germania del 1943 un piccolo e feroce burocrate che vive come se al di là dei muri della propria abitazione non ci fosse un campo di concentramento per cui sono passati centinaia di migliaia di ebrei, sterminati con metodica ferocia.

Il film “La zona di interesse“ (tratto dall’omonimo libro di Martin Amis) spiega nella pratica, e andando oltre, quel concetto di “banalità del male” che ha reso famosa – anche per chi non è dentro a queste tragiche cose – la scrittrice e filosofa Hannah Arendt.

La grandiosa trovata del regista Jonathan Glazer è stata quella – premiata già all’ultimo Festival di Cannes – di fare un film sulla Shoah facendo vedere solo il comportamento criminale e indifferente dei carnefici. Le vittime non si vedono mai. Urli in lontananza , effetti visivi con musica da film dell’orrore, e poi tutte scene quotidiane di una sana famiglia nazionalsocialista. Che ad Auschwitz sta benissimo. Tanto che quando il marito comandante rischia di essere trasferito ad altro incarico, la moglie prima minaccia di lasciarlo e poi lo prega di cercare raccomandazioni presso Adolf Hitler perché almeno lei e i figli possano continuare a vivere nella foresteria in cui si sono trovati tanto bene.

Alla fine il protagonista riesce a farsi riassegnare la direzione di Auschwitz e la famiglia e altri amici ufficiali nazisti festeggiano tutti felici mentre, al di là della cinta muraria di questa villa, gli ebrei vengono mandati ai forni mobilitando ingegneri che progettano sistemi di eliminazione sempre più efficienti vantandosene nella loro corrispondenza con Himmler.

Ogni tanto i soldati portano vestiti degli ebrei da scegliere per appropriarsene per la signora moglie del capo del campo e per le sue amiche come nei mercatini della domenica. Scene terribili anche quelle in cui si smontano i crani degli ebrei per rimuovere denti d’oro et similia.

Una amica della padrona di casa, ospite per il tè delle cinque, si vanta di aver trovato un giorno – in altro campo – un diamante dentro a un tubetto di dentifricio e “da allora” di svuotare tutti i tubetti appartenuti alle vittime, perché “non si sa mai...”.

Un film stupendo e terribile che presenta il male assoluto nella sua routine burocratica. Alla Arendt sarebbe sicuramente piaciuto. Dal 22 febbraio sarà in tutti i cinema.

Aggiornato il 01 febbraio 2024 alle ore 09:42