“La sala dei professori”: come non ti educo il pupo

Dal 29 febbraio sarà nelle sale italiane il film di Ilker Çatak La sala dei professori, con Leonie Benesch (Carla, la professoressa di Matematica); Michael Klammer (Thomas) e Rafael Stachowiak (Milosz), entrambi colleghi di Carla. Il pensiero del regista servirà come prologo alla visione effettiva, dato che il film rappresenta un riflesso ridondante (a causa del gioco dei primi piani, sempre molto rilevati) di ciò fa parte del suo personale vissuto, basato quindi su cose realmente accadute. Sui contenuti, vale come ottima sintesi ciò che ricorda in una sua intervista il produttore del film, Ingo Fliess: “La scuola è come una società intrappolata in se stessa, dove non si intraprende alcuna azione. Le discussioni servono solo a sollevare polvere che porta a risultati insoddisfacenti per tutte le parti in causa: nessuno ne trae mai reale beneficio”. Più autobiografico è invece il commento di Ilker: “Quasi tutti i miei ricordi legati alla scuola sono bellissimi. Ero molto bravo e ho frequentato il liceo in Germania fino a quando i miei non si sono trasferiti a Istanbul, e io mi sono dovuto confrontare con un sistema scolastico completamente differente. Il film parte da diversi ricordi. Nella mia classe, c’erano due ragazzi che, durante le ore libere, andavano alle lezioni di educazione fisica per rubare dalle giacche e dalle tasche degli altri studenti. È andata avanti così per molto tempo: tutti lo sapevano ma nessuno parlava per non passare da ‘spione’”.

“Ricordo ancora il giorno in cui, per risolvere la situazione, tre insegnanti entrarono in classe facendo uscire le ragazze e costringendo noi ragazzi a mettere sul tavolo tutti i portafogli. Raccontai anche al mio amico co-sceneggiatore Johannes Duncker di come la donna delle pulizie dei miei genitori fosse stata sorpresa a rubare, mentre lui mi raccontò di sua sorella, che lavora come insegnante di matematica. Nella sua scuola, erano stati commessi dei furti nella sala dei professori. E da cosa nasce cosa, cominciando a far ricerche nei campi della formazione con insegnanti, presidi, psicologi scolastici e insegnanti di sport è venuto fuori il film”. Quindi, in fondo, occorrerebbe dire ai genitori degli alunni: “Guarda come non ti educo il pupo, perché è proprio ciò che voi genitori volete”, visto che siete pronti a demolire e disedificare l’Auctoritas dei professori, pur di difendere a qualunque costo i vostri figli così imperfetti. Così, quando accadono le cose che ha narrato Ilker, traendole dal suo vissuto, come piccoli furti nella scuola, due dei professori della scuola si improvvisano detective, commettendo proprio l’errore di violare la privacy dei loro allievi. Il tutto, pur di non dare scandalo e non procedere secondo legge, in base alla successione “garantista” per cui occorre prima denunciare i fatti all’autorità di polizia, e poi attendere che quest’ultima richieda l’autorizzazione del giudice per la video sorveglianza dei luoghi. Solo alla fine, su decisione del magistrato, vi sarà l’apertura di un’inchiesta giudiziaria a carico dei responsabili adulti, o dei tutori, se il reato reiterato è commesso da minorenni affidati alla loro tutela.

Ma, in questo gran bel film c’è decisamente molto altro che si insinua tra le righe di un rapporto divenuto complesso e deformante tra docenti e discenti, dove addirittura questi ultimi, grazie al loro giornalino di classe e auto suggestionandosi a vicenda, mettono all’angolo la loro professoressa di Matematica, atteggiandosi a giornalisti d’inchiesta alla Andrej Januar’evic Vyšinskij, procuratore generale dell’Urss, che istituì ai tempi di Stalin i processi farsa contro i dissidenti sovietici. Questo perché anche Carla, senza cercare la solidarietà dei colleghi, anzi distanziandosi da loro ritenendosi “superiore” per metodo e formazione, ha creduto bene di svolgere la sua parte da Sherlock, lasciando la telecamera aperta del suo pc abbandonato incustodito in sala professori, il sancta sanctorum della lotta di classe (sic!) che avviene tra opposte polarità di giudizio. Ma non basta: al centro di tutto è, in fondo, il sostanziale fallimento del “politically correct” e del “wokerismo” in una società che vorrebbe essere multietnica, ma che non ha niente di rassicurante, rispetto a un equilibrato melting pot. E, soprattutto, nel caso delle famiglie, come in quello dei padri e degli insegnanti, le cui origini sono turche o mediorientali, lo scontro di civiltà non è minimamente contenibile in una cornice laica.

C’è ancora un aspetto profondo: Carla dà come compito ai suoi allievi di prima media di dimostrare che 0,9 periodico è uguale a “1”. E sbagliano proprio tutti, anche il pupillo “persecutore” della giovane insegnante, che da finto bambino prodigio tenta la sua soluzione alla lavagna. E lo stesso fanno “tutti” i genitori nel consiglio di classe anti-Carla, ritenendo l’esercizio fuori dal programma scolastico, cosa non vera, perché il calcolo delle frazioni è di importanza curriculare fondamentale. Infatti, basta addizionare tre volte 0,3 periodico (= 1/3), per vedere che 1/3 + 1/3 + 1/3 = 3/3 = 1. Ecco: il nostro è un mondo così, dove la condanna definitiva di qualcuno, professore o alunno, avviene via chat e social network per mano dei leoni (semianalfabeti) di tastiera!

Aggiornato il 23 febbraio 2024 alle ore 14:54