“Caracas”: Napoli ma non Napoli

Napoli o Caracas? Entrambi, si direbbe, se quest’ultimo è il protagonista e regista di se stesso nel film omonimo (Caracas, appunto, da domani nelle sale italiane grazie a Vision Distribution), diretto da Marco D’Amore, con Toni Servillo (lo scrittore in crisi Giordano Fonte) e Lina Camelia Lumbroso (Yasmina, araba-napoletana, l’amore folle di Caracas). Se si cerca la trama per prima cosa, allora bisogna dire che non c’è. Perché Giordano Fonte è un po’ come Mauritius Echer quando disegna le sue mani rilevate che, sullo stesso foglio, tracciano soggetti quasi sempre frattali. Ecco, anche qui, con la complicata sceneggiatura del film, non siamo a una dimensione piena, ma frazionaria. Le visioni, cioè, si allungano e al contempo promanano da altre visioni proprio come un percorso frattale (dove un qualsiasi dettaglio è uguale al tutto), ovvero da ombre che si sovrappongono a ombre. Detriti, soprattutto, che appartengono alla “munnezza” come un racconto malato, chino sull’eterna sporcizia inguaribile dei vicoli non più etnicamente napoletani, ma sempre più multietnici.

Dentro i quali però non c’è nulla delle atmosfere impregnate di aromi e di essenze esotiche da suk arabo, anche se qui i piccoli commerci di strada sono monopolizzati dagli extracomunitari, soprattutto arabi musulmani. Ora, risulta difficile, se non impossibile, stabilire se Caracas, l’amico assai improbabile di uno scrittore di grido e raffinato come Giordano, sia una sua proiezione psicotica o, al contrario, emerga da qualche realtà sempre molto confusa. Tant’è vero che certe volte Caracas muore altre invece diventa un eroe.

Qui siamo per certi versi al delirio, in cui i vicoli malandati e lerci che trasudano umidità, sudore e adrenalina, raccontano senza tregua una Napoli malfamata che, però, di sicuro non c’è più, vista la fortissima corrente di gentrificazione a vocazione B&B che la sta avvolgendo, a partire dalla riqualificazione dei Quartieri Spagnoli per un turismo di massa mordi-e-fuggi. E identiche atmosfere da vicolo lacero e spaventoso si ritrovano nei bui sotterranei dei labirinti cunicolari che portano all’interno di un covo di neofascisti, in cui la matrice razzista trasuda da ogni muro, da ogni gesto e parola pronunciata. Al solito: chi uccide Napoli ha un volto invisibile e, quindi, non rimane che dargliene uno reale, possibilmente nero e di preferenza non cristiano, così è più facile individuare i bersagli. E Caracas, fascista dubbioso, è uno di loro. Almeno all’inizio. Poi un evento scatenante lo porta dall’altra parte, tra le braccia di un imam fin troppo saggio ed ecumenista, pronto per la sua conversione (che avrà in Yasmina una ben strana mediatrice) ad aprirgli le porte di una moschea arrangiata e precaria. E, a proposito di convertiti, c’è da tirare fuori dalla tossicodipendenza proprio lei, Yasmina, passando indenni attraverso i centri dello spaccio nei quartieri degradati. Ma, il rapporto non risolto è tra Caracas e Giordano, dato che rifugge da qualsivoglia definizione e ogni volta si perde tra miraggi, deliri onirici e salti dimensionali.

Come accade quando da un corridoio d’albergo, ci si trova ad aprire la porta della propria camera e camminare nel centro di Napoli in mezzo alla folla. O come quando si insegue un fantasma bambino (che poi a Napoli di bambini veri non ce ne sono più!), per scalare a fatica gli scaloni di un ex palazzo nobiliare e ritrovarsi per caso nella spaziosa casa di Caracas. E gli appartamenti sono l’altro protagonista muto, dato che dai loro gorghi temporali emergono ricordi, librerie, foto dell’infanzia che catapultano lo scrittore smemorato in un orfanatrofio abbandonato, in compagnia di una vecchissima guardiana che ricorda a memoria i volti degli orfani.

Sì, ma di che tipo è l’amicizia che lega uno sbandato apolide con uno scrittore inaridito? Forse Caracas è il suo doppio, o rappresenta il personaggio ritratto su di un foglio A4, pigiando sui tasti manuali di una Olivetti 22? O vien di notte come la Befana, con la sua barba lunga, la sua auto scassata che corre a perdifiato per la stradelle napoletane senza un vero perché, trasportando un attonito Giordano, con la sua cartella rigonfia di fogli dell’ultimo romanzo incompiuto? E qui verrebbe da azzardare che, forse, il romanzo di Ermanno Rea, in Napoli Ferrovia, sia riuscito molto meglio della sua versione cinematografica.

 

Aggiornato il 28 febbraio 2024 alle ore 11:31