“Così è (se vi pare)”: l’abito del fantasma

“Io sono colei che mi si crede”. In questa battuta finale sta tutta l’arte di Luigi Pirandello e del suo Così è (se vi pare), che va in scena al Teatro Argentina fino al 14 aprile, per la regia di Luca De Fusco, con Eros Pagni (nella foto) nella parte di Lamberto Laudisi, fratello di Amalia (Lucia Rocco) e cognato del consigliere di Prefettura Agazzi (Paolo Serra). Una brava Anita Bartolucci, invece, interpreta la Signora Frola, mentre Giacinto Palmarini è sulla scena il genero di quest’ultima, il segretario di Prefettura signor Ponza. In questa bellissima commedia di Pirandello il convitato di pietra è la “Verità” che, però, ama i travestimenti e, spesso, si veste da fantasma, in cui coabitano le mille parti e sfaccettature della persona umana. La quale, rispetto a ciò che appare, non è mai né l’una, né l’altra cosa, ma “entrambe”. Nel senso che ciascun altro “vede in me il riflesso di sé” e, perciò, quello che io sono non è come io mi vedo, ma quella parte del mio fantasma che essi ospitano in sé, per credere innanzitutto a sé stessi e sopravvivere così in un mondo inondato di apparenze. Ora, come osservare la follia senza lasciarsi contagiare dalla sua parte peggiore, che poi è quella dei pettegolezzi, delle piccole e grandi maldicenze di un popolino borghese che affolla i salottini privati, sciorinando sulle tavole da tè congetture e speculazioni che non stanno in piedi nemmeno con gli spilli?

Così, per arrivare a capo di qualcosa di decente, che non siano mere speculazioni, ci vuole un osservatore esterno, scanzonato-canzonatore, esperto della vita come Lamberto Laudisi (il Pirandello nascosto). Il solo che sa prendere in giro e irridere gli altri come se stesso, mentre tutto intorno a lui si svolge un’impressionante partita con scambio di colpi su campi opposti, tra chi vuole pazza la signora Frola, e chi invece crede sia pazzo quel suo strambo genero, il signor Ponza. Entrambi sono vite distrutte, sconvolte da un terremoto che ha praticamente raso al suolo il loro paese natìo e ucciso i familiari più stretti del signor. Ponza. E tutti si aspettano che sia in qualche modo il potere costituito, il delegato di Polizia Centuri (Plinio Milazzo) e il Prefetto (Roberto Burgio), ad accertare ufficialmente la verità. Ovvero, se il visionario sia lui, il Ponza, che, secondo la versione di sua suocera, ha risposato a causa della sua folle gelosia la sua prima moglie, credendola morta e non riconoscendola in quella ritornata a casa dopo mesi di cure in sanatorio. Ovvero, se sia lei, Frola, come sostiene il genero, a voler credere che quella segregata all’ultimo piano di un condominio alto e buio, sia proprio quella sua figlia (secondo Ponza defunta), che le parla da lontano, affacciandosi dal balcone e spedendole cestini di vimini verso il basso, con messaggi di conforto per quella strana donna che si crede sua madre?

E che ci fanno tutte queste grandi pettegole/i borghesi che chiocciano sulle loro disgrazie come tante galline mentre beccano il grano? Com’è che non capiscono (tranne Ludovisi-Pirandello!) quanto sia profondo, vero e umano il legame che unisce suocera e genero in una pietas assoluta, reciproca e pienamente condivisa? La scenografia di Marta Crisolini Malatesta aiuta bene nel capire per immagini come testo e rappresentazione siano inscatolati in un sistema complesso e nidificato, in cui ancora una volta il teatro indaga su se stesso, essendo i personaggi minori spettatori essi stessi rispetto ai due protagonisti in scena, Ponza e sua suocera Frola. Pubblico attivo/passivo, insomma, chiamato a decidere, come una qualsiasi giuria di Corte d’Assise, chi dei due dica il falso o il vero, senza che alcuno degli imputati presunti sia colpevole di nulla. Così Agazzi, sua moglie Amalia e la figlia Dina (Giovanna Mangiù), le loro amiche e amici di famiglia, signore e signora Sirelli (rispettivamente, Domenico Bravo e Valeria Contadino), signora Cini (Irene Tetto), sono collocati su due file di poltrone di platea, comportandosi come un balletto ordinato e stereotipato del nuoto sincronizzato, in risposta a stimoli esterni comuni. La parete di sinistra, invece, è ornata di sequenze cave, finestre alte e disadorne, poste a distanza regolare l’una dall’altra, che ben rendono attraverso il loro ritmo ossessivo l’idea del buio mistero di prossimità. Da queste aperture si intravvede un lungo corridoio sul piano del palcoscenico, lungo cui scorrono, come se percorressero un ballatoio immaginario, i personaggi che vanno e vengono dalla casa della signora Frola, o che sono prima annunciati e poi immessi da un ossequioso maggiordomo nel salone di rappresentanza di casa Agazzi.

Sullo stesso lato delle finestre e dello “struscio” immaginario è collocata, completamente in disparte, la poltrona singola del Laudisi-Pirandello, il vero cardine della morale in commedia, in cui il riso della canzonatura e de “lo sapevo che finiva così” scorre perpetuo come un’acqua sorgiva, prendendosi garbatamente gioco dell’istituzione paludata e, al fine, inutile. Così come sono stigmatizzati attraverso le sue fulminanti battute i parenti-popolino, che non potranno mai capire come l’idea di un fantasma calzi perfettamente lo scopo della vita sia di Ponza che di Frola. Perché nulla è più vero di quello che ci fa vivere per qualcuno e per qualcosa, che siano entrambi reali, irreali o, addirittura, surreali. La vita è un dipinto di René Magritte, dove l’assurdo è vero, solo perché qualcuno l’ha pensato. Spettacolo imperdibile!

Aggiornato il 10 aprile 2024 alle ore 09:33