Le Bcc e la scarsa chiarezza del Governo

Sulla questione delle Banche di Credito Cooperativo abbiamo sentito Alessandro Spaggiari, responsabile nazionale Cooperfirst/Cisl.

A circa un anno di distanza da quando il decreto sulle Bcc pareva in uscita assieme al “pacchetto popolari” e dopo una lunga gestazione e molti annunci, è stato varato dal Consiglio dei ministri del 10 febbraio. Qual è la vostra opinione in merito?

Il testo ancora non c’è e quindi ogni valutazione puntuale va rinviata. Tuttavia, com’è noto ne abbiamo sollecitato l’uscita per interrompere questa condizione d’incertezza prolungata, così come circa due anni fa analizzammo con rigore e puntualità tutti i limiti strutturali del credito cooperativo, indicando le soluzioni necessarie per consentire a tale strumento di continuare a svolgere la propria insostituibile missione e tutelare l’occupazione. Quell’analisi era straordinariamente lungimirante ed oggi è sotto gli occhi di tutti. Il decreto, per quanto si possa intendere, si propone di risolvere molte delle questioni da noi poste. Ci potevano essere altre strade, ma è stata scelta questa ed occorre che gli strumenti individuati non inneschino effetti paradossali, se non addirittura destabilizzanti.

Proviamo a comprendere meglio di quali aspetti si tratta e se sono risolvibili.

Io credo che il Governo stia ancora riflettendo, anche alla luce di un “tempo cuscinetto” di 18 mesi che lo stesso decreto prevede. È interesse di tutti che il credito cooperativo possa svolgere al meglio la propria funzione ovvero in condizioni di coesione, stabilità, autonomia, trasparenza e correttezza gestionale. Per questa ragione, se il gruppo unico va in questa direzione e la governance diventerà la misura dell’inclusione necessaria, dipendenti compresi, una norma di uscita dal sistema come quella ipotizzata dal decreto deve essere affinata. Ciò in quanto essa crea un sistema potenzialmente instabile visto che offre proprio alle Bcc più importanti con almeno 200 milioni di capitale e che rappresentano già oggi circa il 25 per cento del totale, un’opzione di uscita dal mondo cooperativo esercitabile di tempo in tempo. A tale condizione si aggiunga il fatto che la prevedibile stagione di aggregazioni tra Bcc allargherà ulteriormente la platea dei possibili beneficiari della clausola di “exit”. Insomma: ad una buona intenzione potrebbe corrispondere un risultato opposto.

Quindi sulle finalità c’è convergenza, ma è un problema di strumenti?

Come sempre bisogna intendersi. Per tutelare la missione indispensabile delle banche locali ed in particolare di quelle a vocazioni mutualistica come le Bcc, occorre dotarle di strumenti più moderni che non le snaturino ma le rafforzino e responsabilizzino. In questo equilibrio si gioca la questione. Detto ciò, non si può eludere il fatto che il contesto è cambiato, la normativa anche e alcune approssimazioni o superficialità non saranno più possibili. Ritengo che porre rimedio a queste questioni sia un bene anche per le Bcc più virtuose, che hanno sopportato il costo crescente della solidarietà interna ex post. Anche per queste ragioni, salvo comprenderne meglio i dettagli, non mi convince completamente la previsione di introdurre un buffer di capitale per le singole banche, che sarebbe dedicato a costruire un appostamento disponile per la stabilità e solidarietà interna: in questa fase temo rischi di vincolare ulteriormente la capacità delle Bcc di erogare credito, se non valutato alla luce della normativa vigente. Rimango dell’avviso che servano uno o più strumenti di sistema e che vadano alimentati nel tempo.

Poi c’è la questione della casa comune, la cosiddetta capogruppo e dei possibili riflessi occupazionali. Nei mesi scorsi, tra l’altro, sono circolate voci di possibili rilevanti eccedenze occupazionali.

La capogruppo ritengo rappresenti uno snodo importante in quanto diverrà il punto di sintesi e quindi di coesione del settore, oltre ovviamente allo strumento macro per agire in termini di sistema. Occorre quindi che la governance sia equilibrata, qualificata, rappresentativa e inclusiva anche dei dipendenti. Ritengo inoltre che nell’immediato non si ponga il problema del controllo che dovrebbe essere abbondantemente detenuto dalle Bcc, ma serve comunque pensare strategicamente ovvero al lungo periodo. La possibilità che il controllo delle Bcc possa scendere al di sotto del 51 per cento francamente non mi piace e non la comprendo. Diventa fondamentale la vigilanza e la prevenzione; poi per approvvigionarsi esistono molti modi. In via ordinaria i soci devono comunque rimanere il canale privilegiato. Circa le presunte eccedenze occupazionali, fatto salvo le criticità di singole Bcc che abbiamo sempre gestito e risolto certamente con sacrifici importanti dei dipendenti, ma salvaguardandone l’occupazione, ritengo siano circolate stime prive di fondamento se prevarrà il buon senso. Il nuovo modello che mi auguro non imponga verticalizzazioni violente, ma favorisca la specializzazione anche territoriale, genererà processi complessi che tuttavia penso possano essere gestiti. Dipende ovviamente da quale tipo d’impostazione finale sarà data al decreto e dalla normativa di secondo livello che ne seguirà. Proprio per queste ragioni, per rendere la riforma efficace, sostenibile e coerente con le intenzioni di maggior adeguatezza che presumo la ispirino, offriamo la nostra disponibilità per l’apertura di un dialogo costruttivo anche con il legislatore, nell’interesse della sua riuscita per un reale rafforzamento del credito cooperativo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:24