Il settore della ristorazione continua a soffrire, sotto il pesante fardello di divieti e restrizioni orarie e di numero di clienti. Una crisi che sta interessando oggi circa 3 30mila attività tra bar, ristoranti e mense, circa 70mila industrie alimentari e circa 740mila aziende agricole che danno lavoro a oltre 3.600.000 persone.

“La crisi non va inquadrata singolarmente analizzando il singolo ristorante, bar, pasticceria o pizzeria, ma dobbiamo guardare il settore nel suo insieme. Dall’inizio della pandemia, tra lockdown e coprifuoco, sono stati persi circa 578mila posti di lavoro totali, dei quali circa 8mila posizioni nel settore dell’agricoltura, 66mila nelle industrie e 504mila nei servizi”, commenta Giancarlo Barbarisi, consulente specializzato in finanza d’impresa e fondatore del blog Business Plan Vincente. “La filiera agroalimentare estesa è il primo settore economico del Paese, generando un fatturato aggregato di circa 540 miliardi di euro e coinvolgendo 3,6 milioni di lavoratori. Dati alla mano, però, notiamo come la ristorazione, tra le colonne portanti del settore, sia oggi uno dei comparti che soffre maggiormente, con una riduzione della vendita di cibi e bevande del 48 per cento circa, con un calo di fatturato di circa 10 miliardi”.

Gli ammortizzatori previsti dai vari decreti Ristori” emanati dal Governo sono, di fatto, insufficienti a “ristorare” davvero chi è stato colpito dalla crisi e si trova a gestire un’attività tra ingenti costi fissi e variabili e minime entrate. L’aver deciso una chiusura dei ristoranti durante le festività natalizie ha causato un ulteriore ammanco degli incassi, proprio nel periodo in cui solitamente c’è maggior movimento, andando a pesare in modo significativo su un bilancio già profondamente in rosso. Queste perdite non sono state adeguatamente coperte da vere iniezioni di liquidità nelle casse delle imprese coinvolte, compensando i mancati incassi. “A tutto ciò, occorre aggiungere e denunciare il solito dato allarmante: in pochi sapevano che sarebbe stato possibile utilizzare i fondi europei dell’agenda 2014-2020 per dare un reale contributo alle attività che hanno subìto un drastico calo del fatturato” sottolinea Barbarisi. “Per questo, molti dei soldi messi a disposizione delle Pmi non sono stati utilizzati. Per fortuna, non tutto è perso, c’è la possibilità di salvarsi in calcio d’angolo tramite la gestione dei cosiddetti residui, ossia i finanziamenti europei dall’agenda 2014-2020 che l’Italia non è stata capace di utilizzare e che sono avanzati dallo stanziamento iniziale”.

“Da molti anni mi batto per promuovere delle campagne di comunicazione per far conoscere al più alto numero di imprenditori e aspiranti tali gli enormi vantaggi offerti da queste forme di finanziamento. Sembra assurdo ma in pochi ne sono a conoscenza e non capisco perché non sia il Governo a adoperarsi in tal senso – conclude Barbarisi – si tratta di miliardi di euro messi a disposizione per le nostre imprese per incentivare crescita e sviluppo. Se il Governo perderà anche l’occasione di gestire i soldi dei residui dell’agenda 2014-2020, ancora una volta l’Italia sarà costretta a restituire a Bruxelles i miliardi di euro che ha ricevuto per sviluppare attività imprenditoriali, per creare crescita e produrre posti di lavoro. E, vista la situazione che sta affrontando il Paese, mi pare evidente che non ci possiamo permettere di perdere anche questo treno”.

Aggiornato il 25 marzo 2022 alle ore 09:42