Radicali: gli italiani   non ci credono più

C’è qualcosa di molto simile al paradosso nell’apparente disamoramento degli italiani verso i Radicali di Marco Pannella, Emma Bonino e Rita Bernardini. Qualcosa di molto simile al generale disamoramento per il mondo della politica e anche di quello del lavoro.

È come se a forza di non credere più nella politica, anche il partito che da anni è portatore delle istanze ideali, dello stato di diritto e della giustizia giusta sia venuto a noia a quegli stessi elettori che per decenni hanno visto nella politica di Marco Pannella un’ancora di salvezza nel generale piattume della lotta politica e nella malafede che alberga un po’ in tutti i partiti. Primo motore immobile della cosiddetta antipolitica.

Come quei 3 milioni e mezzo di italiani che neppure cercano più il lavoro perché tanto non credono di trovarlo. Non senza una raccomandazione o un santo in paradiso. E questo lega indissolubilmente, a ben vedere, la crisi politica generale con quella economica. Un Paese rassegnato al peggio è quel Paese che sta facendo morire di consunzione un partito come quello Radicale, che adesso comincia a interrogarsi seriamente sulla propria ragion d’essere.

Come si è visto in questi giorni nel dibattito seguito alla provocazione di Angiolo Bandinelli e alla replica di Valter Vecellio. Dibattito poi proseguito nel comitato lo scorso week-end. Luogo dove si sono potuti raccogliere tanti indizi di una stanchezza interna in altrettanti interventi che hanno, ad esempio, deprecato il continuo richiamarsi alle glorie del passato da parte di alcuni leader. La constatazione che il Partito Radicale sia stato l’unico partito ad avere fatto qualcosa per l’Italia negli ultimi sessant’anni in materia di lotte per i diritti civili, a cominciare da quelle per gli ultimi come i detenuti, da sola non basta più. Per non parlare di idee come l’antiproibizionismo sulle droghe ormai trionfanti nel mondo occidentale. Insomma, una sorta di sindrome di Mosè, quella di non potere vedere la Terra promessa dopo la traversata di quarant’anni nel deserto.

Con Pannella, che se pure non ha ancora separato le acque del Mar Rosso, ha compiuto in Italia imprese altrettanto miracolose come quella di portare i cattolici a votare per il divorzio e l’aborto ed a chiedere alla politica di legalizzare l’Italia. Ma ecco il vero scoglio su cui lo scetticismo e il cinismo degli elettori che amano Emma Bonino (e che infatti sono sempre invitati ad “amarla di meno e votarla di più”) si infrange come in una sorta di onda ricorrente e sempre uguale a se stessa: gli italiani, popolo-gregge e opportunista, dentro il proprio sé inconscio pensano che un partito come quello radicale in realtà “non serva loro a niente”. Non può distribuire posti di lavoro, non può creare clientele e non può neanche imporre le persone più valide per le alte cariche dello Stato. E’ un partito di idee e di ideali, di idee giuste e di ideali sacrosanti.

Ma poiché le persone continuano a credere che “carmina non dant panem” ecco spiegata la paradossale ragione delle “non iscrizioni” e del “non voto” radicale. Per una formazione politica che in fondo, in teoria, ci dovrebbe mettere poco a superare le percentuali di un partito inutile come quello di Angelino Alfano, tanto per fare un esempio. E invece no. Vale la regola del “Nemo propheta in patria”, che potrebbe oggi essere ribattezzata come “Nemo Pannella in patria”.

Gli italiani che non cercano più lavoro non cercano nemmeno più la buona politica. Aiutiamoli a tornare un popolo di “non rassegnati al peggio”. Altrimenti, altro che antipolitica: andando avanti così, la storia insegna, è l’autoritarismo fascista ad essere dietro l’angolo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:12