A Matteo Salvini serve   un’Europa diversa

Se i partiti e i movimenti di destra avanzano in tutt’Europa, con una progressione diffusa e repentina, vuol dire che la causa che ne gonfia le vele non è austriaca o olandese, polacca o francese, ma europea, globale.

Ogni popolo ha le sue rimostranze da muovere alla propria classe dirigente (popolare, liberale o socialista che sia), cui il novecento ha dato il compito di governare la ricostruzione della nuova Europa. Questa volta, però, l’attrattiva verso la destra populista è da ricercare al di fuori dei confini nazionali. Ne è assoluta conferma la comparsa del fenomeno, in contemporanea, in molti Paesi europei oltre che negli Stati Uniti, dove il regime delle libertà classiche chiede di essere coniugato con la difesa della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, dei confini nazionali.

Nel vuoto identitario dell’Occidente, è in grado l’Europa di esprimere una propria identità a difesa della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, dei confini europei? L’Europa è percepita come il luogo dove è garantito il massimo riconoscimento dei diritti. Ma, quali diritti riconosce l’Europa? Quale è la natura e la qualità di questi diritti?

La proposta di una Costituzione europea immaginava che un Documento costituzionale fosse di per sé sufficiente a dar corpo all’embrione di una comunità politica. Ma, nell’era della globalizzazione, non c’erano le condizioni perché i cittadini europei potessero rinunciare all’idea di considerare gli Stati nazionali, soprattutto loro, il fortino dentro cui cercare riparo dalle incertezze odierne.

Oggi l’Europa si presenta con una doppia opaca identità. Da una parte è l’Europa dei mercati e della concorrenza, dall’altra, il luogo del relativismo dei suoi diritti fondamentali, che confliggono l’un contro l’altro nell’affermazione della propria esclusività (Habermas). La competizione fra diritti causa conflitti su tutti i fronti, anche se questo è il succo della democrazia. La libertà si scontra con l’ordine pubblico, i diritti delle maggioranze con quelli delle minoranze, l’individuo con la nazione, i produttori con i consumatori, il diritto all’informazione con il diritto all’oblio, il diritto all’interruzione della gravidanza con i diritti del feto, i diritti dei figli con quelli dei genitori, il genere maschile compete con i diritti femminili, i giovani con gli anziani, l’ambiente con lo sviluppo. I movimenti nazionalisti pescano in questo mare, caratterizzato dall’assoluta “liquidità” (relatività) di una socialità dispersa e si nutrono di alcune certezze altrettanto relative, talora rozze, capaci però di tacitare le paure e le insicurezze collettive. I principi di democrazia, non discriminazione, tutela delle minoranze, tutela delle “diversità” sono tutti irrinunciabili. Ma, alla fine, se non c’è una casa su cui tutti convergono, la preservazione della comunità nazionale è a rischio.

Quali risposte possono dare i partiti storici alle istanze di nazionalismo galoppanti? Come fronteggiare un fenomeno che, se privo di meditate valutazioni sulle conseguenze economiche delle scelte propagandate, rischia di nuocere alle vere battaglie di contrasto agli squilibri causati dalla globalizzazione? Nel merito le risposte non sono facili. Non esistono ricette certificate. Nel metodo invece si possono azzardare una serie di raccomandazioni.

Innanzitutto, si deve realisticamente prendere atto che ogni tipo di progetto “federalista” dell’Europa è, per il momento, da accantonare. Preso atto di ciò, si deve poter avviare un dialogo intenso con i movimenti nazionalisti o regionalisti, a partire, per quanto riguarda noi, dal partito di Matteo Salvini. Si deve poter immaginare innanzitutto che, nel ridefinire i confini propri dell’Unione e degli Stati, i “margini di apprezzamento nazionale” dovrebbero essere più intensi, a difesa di ogni tipo di pluralismo identitario.

Salvini dovrebbe però anche sapere che la bandiera dell’anti-europeismo a-priori, fine a se stesso, se appagante sul piano elettorale, alla fine è perdente (Francia-Austria). Per questo, sarebbe meglio imboccare il sentiero che porta non a meno Europa, ma verso una nuova Europa. Questa pare essere la strada. Qui vi potranno trovare riscontro una serie di diritti nuovi, che non si esauriscono nella sfera individuale, ma si espandono nella sfera delle comunità o delle collettività. L’idea che l’Europa sia semplicemente uno spazio dove si riconoscono i diritti dei singoli, degli individui e non anche delle “formazioni sociali” e territoriali, non tiene conto della sua storia. È riduttiva delle tradizioni dei popoli, della storia delle comunità, delle nazioni, delle regioni, delle municipalità. I diritti individuali da soli descrivono uno spazio europeo “senza forma”, solitario, un luogo in cui lo stato liquido del pensiero, dei valori e dei diritti, la fanno da dominatori. I diritti collettivi descrivono invece uno spazio europeo vivente.

Giocando sulle contraddizioni dello spazio europeo Salvini ha buon gioco nell’accrescere il proprio consenso elettorale. Se superasse ogni tipo di atteggiamento antieuropeo, aprioristicamente assunto, amplierebbe anche il fronte delle sue alleanze. Guardi all’Italia, non al Front National. Anche Alexis de Tocqueville argomentava allo stesso modo. Pur affascinato dal modello federale statunitense, in un passo della Democrazia in America, affermava: “La sovranità dell’Unione è un’entità astratta che si riallaccia a un piccolo numero di oggetti lontani. La sovranità degli Stati è immediatamente sentita; la si comprende senza fatica; la si vede agire ogni istante. L’una è nuova, l’altra è nata col popolo stesso. La sovranità dell’Unione è l’opera dell’arte, la sovranità degli Stati è naturale, esiste per se stessa, senza sforzi, come l’autorità del padre di famiglia. La sovranità dell’Unione tocca gli uomini solo in qualche grande interesse, rappresenta una patria immensa, lontana, un sentimento vago e indefinito. La sovranità degli Stati abbraccia ogni cittadino e lo prende ogni giorno in particolare. Essa si incarica di garantire la proprietà, la libertà, la vita del singolo, e influisce ogni giorno sul suo benessere o sulla sua miseria. La sovranità degli Stati si appoggia sui ricordi, sulle abitudini, sui pregiudizi locali, sull’egoismo di provincia e di famiglia, in una parola, su tutte le cose che rendono l’istinto della patria tanto potente nel cuore dell’uomo. Come dubitare della sua utilità?”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00