Referendum: qualche   considerazione “extra”

Osservando i primi passi della campagna referendaria sulla modifica della Costituzione, mi è tornato in mente un famoso libro degli anni Sessanta di James Buchanan, che descrive gli uomini politici - siano essi di governo o semplici parlamentari - come “massimizzatori razionali delle possibilità di essere rieletti”.

È con questo stato d’animo che i partiti, nella ricerca del consenso a favore del “Sì” o del “No”, stanno affrontando la campagna referendaria, con la massima semplificazione dei temi della riforma. In questo modo pensano, ragionevolmente, di offrire all’elettore-consumatore un’offerta politica “market friendly” (amica del mercato elettorale), non importa se sminuita, o distorta, nei contenuti. Ne viene fuori un dibattito irreale che, salvo rare eccezioni, sollecita le appartenenze, piuttosto che le pertinenze della riforma, attraverso il perfetto allineamento dei partiti dell’area di governo sul fronte del Sì e i partiti dell’opposizione sul fronte del No. Le parole d’ordine sono sempre le stesse. Lo schieramento del No prospetta i rischi dell’autoritarismo, le virtù dell’efficientismo sono sbandierate invece dal Sì. Messaggi rudimentali, che diventano distorti quando sono propagati pezzo per pezzo, ingigantendo alcuni aspetti e ignorandone altri.

In questo quadro, l’elettore si trova di fronte una scelta complicata, tanto che gli sarà più comodo decidere secondo le indicazioni di voto date dai partiti di appartenenza. Una fetta non piccola di cittadini rivendica invece un’informazione vera, per arrivare a scelte responsabili e non condizionate. A questa significativa fascia di elettori, la riforma costituzionale può essere presentata in questi termini: “Vuoi un Governo che attui il proprio programma, senza sottostare agli ostruzionismi parlamentari, oppure preferisci un Parlamento di garanzia?”. E poi: “Ti va bene il modello regionale vigente, oppure pensi che lo Stato centrale si debba riappropriare di alcune funzioni?”. I nodi della riforma sono tutti qui. A seconda che ti vada bene o meno bene l’attuale assetto costituzionale puoi assumere le tue decisioni.

Nella presunzione di poter semplificare alcune di queste questioni, faccio qui di seguito alcune asettiche e neutrali considerazioni. La riforma trasforma il bicameralismo da perfetto in imperfetto, secondo una regola in vigore in tutte le democrazie parlamentari europee. Questo vuol dire che: a) il nuovo “Senato delle Regioni” non potrà più esprimere la fiducia-sfiducia al Governo; b) la legge non avrà più bisogno, in alcuni casi circoscritti, della doppia deliberazione, perché il Senato potrà esprimere il suo dissenso solo in modo non vincolante. La riforma disciplina poi e limita l’uso dei decreti legge, per superare l’abuso che se n’è fatto fino ad oggi. In cambio, prevede che le leggi che qualificano il programma di Governo potranno essere decise con un procedimento rapido che porta al voto finale nel tempo massimo di 70 giorni.

Chi condivide queste soluzioni cosiddette “di efficienza” potrà votare Sì. Secondo punto: le Regioni. Un sacco di funzioni (non materie) saranno loro sottratte (meglio, svuotate) per tornare alla competenza dello Stato centrale. Ne ricordo alcune: le disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, le politiche sociali, la sicurezza alimentare; il coordinamento della finanza pubblica; energia; disciplina del lavoro pubblico; disposizioni generali sull’istruzione; ordinamento scolastico, Università, ricerca scientifica; princìpi generali sul turismo. In base poi a una clausola rivoluzionaria di carattere generale, lo Stato, su iniziativa del Governo, potrà riappropriarsi di alcuni aspetti della legislazione delle Regioni, qualora ritenesse di dover “tutelare l’unità giuridica, economica della Repubblica o l’interesse nazionale”. Una specie di attentato all’autonomia regionale, si sarebbe detto in altri tempi. In effetti, nei confronti dell’istituto regionale, siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione. Il nuovo Titolo V letteralmente “svuota” la cosiddetta competenza esclusiva delle Regioni, tornando, in questo modo, all’idea del costituente del 1947 e cancellando, di fatto, la riforma del 2001. C’è chi ha detto che, se la riforma passerà, le Regioni perderanno gran parte del potere legislativo per ripiegare nell’esercizio di poteri solo amministrativi.

Chi pensa che l’Italia meriti una disciplina più uniforme in tutto il territorio nazionale, sulle materie di cui ho fatto sopra una parziale sintesi (ce ne sono anche altre) e crede in un rinnovato ruolo dello Stato centrale, dovrà votare Sì.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:58