Congresso in carcere, la “follia” radicale

S.P.Q.R. che tutti sappiamo (lo sappiamo, vero?) sta per “Senatus Populusque Romanus”, da qualche bello spirito, una volta è stato mutuato in “Sono Pazzi Questi Radicali”, e del tutto torto non aveva, che a prima (ma anche a seconda vista) apparivano “follie” le proposte e le “offerte” politiche coniate, prefigurate, condotte da Marco Pannella e da chi, pur magari non comprendendone appieno la portata, gli dava comunque fiducia. È un virus che a quanto pare vive al suo “diffusore”, visto che le “follie” continuano. L’ultima follia si chiama 40esimo Congresso straordinario del Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito. Una “follia” per almeno tre ragioni.

È il primo congresso radicale dopo la morte di Marco Pannella. E d’accordo: c’è una corrente di pensiero abbastanza radicata tra i radicali, che si richiama alla capitiniana “compresenza” di chi c’è e di chi non c’è più; e d’accordo, fino all’ultimo giorno Pannella ha avuto cura di indicare, tracciare, ripetere e ripetendo elaborare e chiarire possibili percorsi politici, “visioni” che costituiscono un patrimonio di concrete utopie sulle quali si può (e si deve) lavorare per molti anni a venire; ma si ammetterà anche che senza l’apporto del consiglio della sua critica, senza il contributo della sua polemica, senza la sua capacità di saper “vedere” e pre/vedere come un po’ tutti si guarda, senza tutto questo bagaglio di esperienza e capacità di “sogno”, tutto è più arduo, difficile, non solo faticoso.

La tribù (o la comunità, chiamatela come volete) degli S.P.Q.R. non si fa mancare nulla. Prendete due radicali, avrete tre opinioni. Non sbaglia chi li chiama “gli ebrei della politica”, non solo evidentemente per le indiscusse e indiscutibili discriminazioni, non solo per il loro costante e costitutivo “errare”; il congresso è “straordinario” anche per le modalità di convocazione. È la prima volta che viene convocato direttamente dagli iscritti, come prevede una norma dello Statuto. Un terzo degli iscritti con anzianità di tessera di almeno sei mesi ha deciso che il congresso andava fatto, ha sottoscritto un documento, e il congresso si deve fare, non ci puoi fare nulla, è lo Statuto, bellezza! È la prima volta che accade nella storia dei radicali; ma credo sia anche la prima volta che accade per quel che riguarda le altre organizzazioni politiche. Qualcuno è a conoscenza di congressi convocati direttamente dagli iscritti, in Italia e altrove? E siamo dunque alla seconda “follia”, meriterà un giorno di essere studiata con più agio, come tante altre cose del resto.

Finisce qui? Ma no, non c’è il due senza il terzo. Cosa si inventano i promotori, come se già non fosse impegnativo il tema che caratterizzerà il congresso (“Da Ventotene a Rebibbia”)? Di farlo appunto a Rebibbia, un carcere. Non è la prima volta che i radicali (che hanno una discreta consuetudine e frequentazione con le carceri) organizzano congressi negli istituti di pena; è già accaduto con due congressi di “Nessuno tocchi Caino”, a Padova prima, al carcere di Opera-Milano poi. Anche allora si presentarono concreti problemi di carattere logistico, ma vennero brillantemente superati, e sia Padova che Opera sono stati due momenti importanti, preziosi. Non c’è ragione di credere che anche per quel che riguarda l’appuntamento di Rebibbia non si saprà superare le difficoltà che una scelta del genere inevitabilmente comporta; ma queste difficoltà dovrebbero, nella più classica tradizione radicale, costituire motivo di sprone e di ulteriore responsabilizzazione, non argomento di dismissione e rinuncia.

Ma ora la carne delle questioni. Molti anni fa, pensate, il 7 giugno del 1981, Michelangelo Notarianni, che nei confronti dei radicali mostra una sensibilità non comune, scrive sul “Manifesto”: “…Nella politica internazionale, nella battaglia contro la fame nel mondo e il riarmo, Pannella individua… l’asse di una propria rinnovata iniziativa politica e l’inevitabile avvio di un terreno di confronto… Il politico Pannella vede forse più cose di quante non veda la sua filosofia”.

Capita di sfogliare carte ingiallite dal tempo e scoprirvi un’attualità che stupisce, una straordinaria aderenza ai tempi che tocca di vivere. Per esempio: “…Solo un mondo nel quale i diritti dell’uomo possano dispiegarsi, coi loro valori, al di sopra di tutte le barriere statuali e nazionali potrà veder deperire e cadere l’ultima barbarie del nostro tempo. È dunque compito di ogni democratico – e di ogni Stato democratico – operare perché ciò avvenga. Senza riguardi e remore, si oserà riconoscere che il dovere di ogni cittadino e di ogni Governo non è limitato dalle frontiere degli Stati e che queste non potrebbero in alcun caso impedire la prevenzione e la repressione delle violazioni della dignità umana…”. Bello, vero? È un brano tratto da “Il radicale impunito” di Angiolo Bandinelli, pubblicato nel 1990.

Ancora: “Per sopravvivere, nessun motivo. Per vivere c’è l’imbarazzo della scelta. Comunque, eccoli. Primo motivo: ciascuno si chieda se questo partito è meglio che ci sia o non ci sia. Ci pensi su una notte e poi agisca di conseguenza. Dipende infatti solo da ciascuno di noi se questo straordinario e inedito progetto politico crescerà, si affermerà o decadrà. Secondo motivo. Tutti gli altri dicono, ‘dateci più forza e cambieremo rispetto al passato’. Il Partito Radicale, se avrà più forza, farà meglio quello che, nel nostro tempo e nella nostra società, ha sempre dimostrato di saper fare. Terzo motivo. In questo fine secolo, dove risorgono spaventosi fantasmi di morte e altri se ne aggiungono (politici, economici, sociali ed ecologici), si è forse ancora in tempo per dare vita al partito della nonviolenza, del dialogo, della difesa della vita del diritto e del diritto alla vita…”. Chi è? È Pannella, intervistato dal “Il Messaggero” (4 febbraio 1993).

Devo queste citazioni, ma molto altro ancora, a un prezioso libro di recente pubblicazione, “Oltre Chiasso”, scritto da Massimo Lensi, militante e dirigente radicale; un libro che ha il grande pregio, attraverso il narrato di una bella e per molti versi invidiabile esperienza umana, di portarci a conoscenza (o a memoria) tanti fatti, situazioni ed episodi che chiariscono molto dell’oggi, del perché e del come si è giunti a questo “oggi”. Aiuta a comprendere un percorso che a prima vista appare astruso, contraddittorio, perdente; ed è, al contrario, una evoluzione costante e un quotidiano dipanarsi di teoria e prassi: “Il partito come strumento politico e organizzativo di una complessa teoria dello Stato di Diritto”. Tutto questo c’entra con il congresso straordinario? Certo che sì e, spudorato, “saccheggio” Lensi: “…È la fantasia come necessità… per modificare gli algoritmi della regolarità. I radicali, infatti, sono alterità nella continuità”.

Il congresso in carcere è un qualcosa di altamente simbolico e di politicamente pregnante; non vederlo, è segno, dimostrazione, di miopia, un’incapacità di “vedere”, “ascoltare”, “sentire” che rivela assai più di quanto l’episodio in sé può dire. Non parliamo poi del tema congressuale, “Da Ventotene a Rebibbia”: in quattro parole, un programma politico di lavoro per l’oggi e un domani quanto mai attuale. Quel “Ventotene” esplicitamente si richiama al “Manifesto” concepito da Ernesto Rossi, Altiero Spinelli e Eugenio Colorni; quel “Manifesto”, per gli Stati Uniti d’Europa, è l’unico vero antidoto alle tentazioni e alle “vocazioni” populistico-demagogiche di cui l’Europa e l’Italia sembrano essere preda. Quel “Rebibbia”, opportunamente coniugato con “Ventotene”, è un’ulteriore “semina”, una nuova tappa di un percorso che viene da lontano; una pratica attuazione politica di quel grande e ancor oggi prezioso lavoro “consegnatoci” da studiosi e ricercatori come Michel Foucault con il suo “Surveiller et punir: naissance de la prison”.

Il primo congresso senza Marco Pannella. Questo, certamente, è un problema. Chi scrive è tentato di dire: “Il” problema. Per molti radicali Pannella era una presenza “ingombrante”, “soffocante”, “pervasiva”; negli ultimi tempi c’è chi ha auspicato una sorta di “liberazione”, una “rottamazione”, per usare un termine in voga. Pannella spesso lo si è vissuto con fastidio, considerandolo un ripetitivo monomaniaco non più adeguato e non più “spendibile” nella società politica. I radicali, coloro almeno che vorranno cercare di continuare a esserlo, ora hanno un difficilissimo compito: continuare una politica “nuova” che al tempo stesso è quella di sempre; continuare a cercare possibili “percorsi” senza timore di apparire zigzaganti e contradditori; non stancarsi di coltivare alleanze di “unione”, e non di posticcia unità; alleanze e unioni fondate più su valori che su principi; dovranno acquisire la consapevolezza che tutto questo lo si deve imparare a farlo da soli, perché Pannella, compresente o no che sia, è comunque “altrove”. Quel Pannella che una pubblicistica di poca arte e nessuna parte paragonava al Dio Crono intento a divorare sistematicamente i suoi “figli”; è vero il contrario: sono tanti i “figli” che si sono cibati delle carni del “padre”.

Il congresso straordinario e i loro convocatori si pongono un obiettivo ambiziosissimo. Quello di tenere alte bandiere politiche racchiuse nelle frasi: “Dove c’è strage di diritto c’è strage di popoli”; “Per il diritto alla vita, per la vita del diritto”. Ha impiegato anni, Pannella, per farle comprendere ai radicali, e non è detto siano condivise e comprese da tutti. Dal congresso straordinario è augurabile esca un preciso impegno politico coerente con quel “non mollare” di salveminiana ed ernesto- rossiana memoria. Un impegno che si richiami e colleghi a quel paolino “Spes contra Spem”, che in Vaticano, qualcuno venuto da quasi la fine del mondo, mostra di comprendere assai più e meglio di tanti di altri. Tutto questo per conquistare l’ennesima concreta utopia: un nuovo diritto umano da aggiungere alla lista di quelli scolpiti nella Dichiarazione universale: il diritto alla conoscenza. È questa la “nuova frontiera” che i radicali pannelliani hanno cominciato a inseguire da almeno il 2003, e che negli ultimi tempi considerano la madre di tutte le iniziative politiche su cui impegnarsi. Altro che stravagante, senile, mania, come qualcuno sostiene. La scommessa è questa, la partita è questa. Il resto è solo fuffa, poca e poco rispettabile, fuffa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 23:00