Il “Sì” e il “No” del Pd: come i separati in casa

L’opposizione alla revisione costituzionale della sinistra dem, Massimo D’Alema in testa, motiva la propria ostilità affermando, tra l’altro, che la riforma causerebbe la “restrizione degli ambiti di democrazia e di partecipazione”.

In coerenza con la linea del vecchio Pds, contro la riforma Berlusconi (2006), lo spartito è sempre lo stesso, con la differenza che allora l’opposizione parlava apertamente di minaccia di “autoritarismo”, mentre oggi smorza i toni, li modera, per non far male anche a se stessa. Fatto sta che, dentro il Partito Democratico, si manifestano due contrapposte idee dello Stato e delle istituzioni: quella dei democratici “renziani” e quella capeggiata da D’Alema, nei confronti delle quali pare legittimo avanzare il dubbio che possano convivere ancora a lungo assieme. Anche se gli affondi dalemiani sono prevalentemente di natura politica, la divaricazione delle posizioni è stata ufficialmente giustificata – si dice –, tenuto conto della natura non politica del referendum costituzionale, un evento che escluderebbe la disciplina di partito.

Renzi subisce questa impostazione, sorretta da una parvenza di ragionevolezza, che invece non c’è. Infatti, bicameralismo e riforma dello Stato non c’entrano niente con la democrazia, i diritti e le libertà. Non riguardano questioni che toccano i massimi sistemi, la morale, l’etica, le idealità o le convinzioni individuali delle persone. La vicenda va letta dunque soltanto con la lente della politica, nell’ambito dello scontro interno al Pd, che non risparmia colpi. Soprattutto, la motivazione che si adduce a giustificazione della libertà di voto non ha fondamento perché l’organizzazione dei “Comitati del no” non ha niente da spartire con questioni di coscienza, a meno di non ritenere le ritorsioni dalemiane un fatto di coscienza.

D’altra parte, il fatto che lo Stato si regga su una forma di governo forte o debole non è questione da lasciare al libero convincimento delle singole componenti di un partito, perché riguarda questioni di carattere generale, di alta valenza politica, che descrivono la natura, il volto, l’identità stessa di un partito. Le divaricanti argomentazioni del “Sì” e del “No”, espresse dalle diverse componenti del Pd, confermano invece che quel partito accomuna due anime, distinte e contrapposte, che nascondono due precise identità. Quella dell’opposizione, a seguito dei clamorosi successi elettorali del primo renzismo, si era temporaneamente autocensurata. Oggi, con gli scricchiolii delle elezioni comunali ultime, riprende fiato. Del resto, la concezione vetero-comunista dello Stato, che ha sempre rifiutato istituzioni di governo forti, nel solco della tradizione classica della sinistra, non è mai morta. Quella “renziana” invece non fa mistero di ritenere che lo Stato italiano ha bisogno di istituzioni governanti, alla ricerca di quel modello di democrazia governante, su cui tutte le nazioni europee possono contare.

D’Alema evidentemente, forse senza saperlo, è ancora nostalgico della Prima Repubblica e rispolvera le antiche paure dell’autoritarismo, legate all’“uomo solo al comando”. In questo modo, dovrebbe sapere però che si riportano le istituzioni italiane nella palude delle antiche pratiche consociative, dove i diversi interessi “corporati”, dislocati dentro tutti i partiti o nelle loro correnti, l’hanno fatta da padroni nelle aule parlamentari. Possono convivere posizioni così divaricanti dentro uno stesso partito? D’Alema non ha votato la riforma ed è libero di propagandare quello che vuole. L’organizzazione dei “Comitati del no” però è un’altra cosa: è una vera e propria dichiarazione, strutturata, di guerra interna. Pare lecito domandarsi se sia politicamente sostenibile che i gruppi parlamentari di Camera e Senato possano godere, in occasione del referendum, della totale libertà di propaganda contro la linea del segretario del partito.

Nel già diffuso disorientamento dei cittadini, l’aspro confronto interno al Pd contribuisce ad accrescere la confusione e rappresenta l’ennesima testimonianza delle divisioni della sinistra italiana, dure a morire e capaci di causare, come in questo caso, ferite non facilmente rimarginabili. Il disorientamento è ancora maggiore se si considera che, da un’altra parte, tutta l’area di centrodestra è schierata, pur se con motivazioni politiche diverse, con la componente dalemian-vetero-comunista del Pd. Il crocicchio degli interessi (non certo delle libertà di voto) regna ovunque sovrano. Dentro questi eterogenei schieramenti gli elettori sono chiamati a una scelta non facile, dove la compatta propaganda del Movimento 5 Stelle pare l’unica in grado di mietere consensi nei confronti di tutti gli altri contendenti, di destra e di sinistra: disuniti e contraddittori, confusi e incoerenti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:59