Palamara: nessuno dei 133 testi sarà sentito

Come era largamente prevedibile, Luca Palamara, per difendersi davanti alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, nell’udienza fissata per il prossimo 21 luglio, ha indicato ben 133 testimoni a discolpa. Dico subito cosa accadrà, senza bisogno di attendere il 21 di luglio: la sezione disciplinare non ne ammetterà neppure uno. E ora dico perché. Perché ammetterli vorrebbe dire fare il gioco di Palamara, offrendogli una via difensiva molto suggestiva e convincente. Infatti, Palamara, per difendersi, ha scelto una strada obbligata e che io stesso da queste colonne non avevo avuto difficoltà ad individuare oltre un anno fa, quando la vicenda divenne di pubblico dominio: quella di far vedere, attraverso le testimonianze di costoro, che prima di lui, accanto a lui e dopo di lui, tutti, ma proprio tutti, facevano come lui, le medesime cose che oggi a lui vengono imputate. Insomma, come è evidente, se tutti sono colpevoli, nessuno lo è davvero: neppure lui.

Questa è la pura verità. E lo sanno benissimo tutti, perché tutti hanno vissuto in prima persona le stesse manovre, i medesimi accordi correntizi, le risapute dispute per l’assegnazione di posti direttivi e semidirettivi. Perfino i consiglieri giuridici del Quirinale lo sapevano, come dimostra il fatto che Palamara ne ha citati un paio come testi, per dimostrare probabilmente che la stessa presidenza della Repubblica non era del tutto insensibile a certe nomine, all’occupazione di certe poltrone invece che di altre. È  chiaro come questa prospettiva di fondo metta enorme trepidazione in tutti quelli che potrebbero essere chiamati in causa e come perciò sia interesse di tutti costoro mobilitarsi per dimostrare il contrario delle tesi di Palamara, cioè una cosa non vera: e precisamente che quello di Palamara è soltanto un caso isolato, che forse riguarda pochi altri magistrati, in un numero comunque trascurabile, perché, al contrario, la gran parte di coloro che hanno ottenuto una nomina ad un posto direttivo o semidirettivo, ci sarebbero riusciti in base al merito proprio e non ad una appartenenza correntizia.

In attesa che a coloro che affermano queste amenità cresca il naso lungo come quello di Pinocchio, mi limito ad osservare come questa paura che Palamara, attraverso le indicate testimonianze, possa scoprire gli altarini, veda solidali tutti i magistrati italiani – tranne ovviamente qualcuno che però non fa testo – e, di conseguenza, anche coloro che siedono al Consiglio superiore. Ne viene perciò che dobbiamo registrare una evenienza assai singolare e tuttavia molto significativa, vale a dire il fatto che i componenti del Consiglio superiore nutrono in cuore la medesima speranza – o forse la medesima aspettativa – dei 133 testi indicati da Palamara, e cioè che nessuno di essi sia mai sentito quale testimone: come infatti accadrà. E tuttavia, per impedire che questi 133 testi vengano chiamati a deporre, non è possibile pubblicamente dire la verità e cioè che le loro deposizioni sortirebbero esiti pericolosi e devastanti per il potere delle correnti – che ancora si mantiene intatto – occorrendo invece dire altro, capace di persuadere l’opinione pubblica della inopportunità di quelle così numerose testimonianze.

Tuttavia, non si dimentichi che Peithò – dea della persuasione – si lasciava cogliere dagli antichi greci, i quali in proposito la sapevano lunga, quale divinità malvagia ed ingannevole. Per questa ragione, nell’ottica della persuasione, si dirà che sentire 133 testimoni sarebbe difficile, quasi impossibile, del tutto incompatibile poi con la natura della giustizia disciplinare che esige una cognizione rapida e per forza di cose non completa come invece potrebbe essere quella di un dibattimento penale, ove invece i testimoni si possono sentire tutti e per bene, anche se numerosi. Si aggiungerà poi che bisogna far presto perché gli italiani hanno bisogno di credere nella magistratura, perché non si può attendere troppo, non si può perpetuare uno stato di grave incertezza relativa al buon funzionamento delle istituzioni, tutte esigenze che sconsigliano i tempi lunghi che sarebbero necessari per sentire 133 testimoni.

Né – cosi si proseguirà – si può decidere di sentirne solo alcuni, perché la selezione rischierebbe di essere giuridicamente immotivata e potrebbe dare l’impressione che si voglia orientare l’indagine e la raccolta probatoria in una direzione invece che in un’altra. Infine, si porrà il sigillo finale sulla questione, affermando che dopo tutto, i fatti addebitati a Palamara sono abbastanza circoscritti e tali da poter essere provati o smentiti senza l’ausilio di un numero così elevato di testi e che perciò sentirli davvero provocherebbe una sorta di annacquamento della prospettiva disciplinare che invece è da evitare in sommo grado. Ciance. Soltanto ciance. Ma scommetto che prevarranno sulla verità. Cioè sui 133 testi.

Aggiornato il 16 luglio 2020 alle ore 10:33