La fuga dei cervelli italiani e i criteri di selezione dei docenti

Ho appena ricevuto da mio fratello il seguente messaggio: “Carmelo (il figlio, ndr), dopo appena dieci minuti di colloquio, ha ottenuto un incarico alla London School of Economics, che è al secondo posto nella classifica internazionale delle università specializzate negli studi economici e sociali”.

Carmelo Di Natale, poco più che trentenne, è un matematico che dopo la laurea con lode all’Università “La Sapienza” di Roma, è stato “segnalato” dai suoi professori al Mit di Boston e all’Università di Cambridge.

Ha scelto per motivi logistici Cambrigde, dove ha conseguito un dottorato di ricerca. Ha continuato il suo lavoro di ricerca all’Università di Newcastle e ha subito iniziato ad insegnare in una tra le più prestigiose High School di tutto il Regno Unito.

Avremmo voluto che ritornasse, dopo il prestigioso dottorato di ricerca, ad insegnare in un ateneo italiano. Lui ha preferito, nostro malgrado, restare in Inghilterra, perché era convinto di accelerare il suo percorso per diventare docente universitario. Aveva ragione.

In Italia, il concorso pubblico per l’insegnamento nelle scuole è stato un vero e proprio flop. Gli aspiranti insegnanti che hanno superato le prove a quiz, in media sono stati tra il 15 e il 30 per cento dei partecipanti nelle varie discipline d’insegnamento. Risulta evidente che la formula delle prove concorsuali a quiz e crocette non è il più adatto per valutare la preparazione degli aspiranti docenti. Non posso accettare neanche l’idea che le motivazioni dei pessimi risultati siano da addebitare ad una scarsa preparazione dei candidati.

La selezione per i concorsi a cattedra nelle università italiane è da decenni al centro di critica per i criteri di valutazione che di fatto premiano le “scelte” dei baroni universitari piuttosto che le reali conoscenze scientifiche di chi ambisce all’insegnamento universitario. In Italia sembra si diventa docenti ordinari per diritto divino.

Recenti statistiche internazionali collocano la nostra migliore università – il Politecnico di Milano – al 142mo posto nel ranking mondiale. Non conosco quali siano i criteri che vengono utilizzati per valutare le varie università nel mondo e nella fattispecie quelle italiane. Una cosa è certa, la scuola italiana di ogni ordine e grado non rispecchia la forza economica e industriale del nostro Paese, che fa parte del G7 e del G20.

È possibile che qualcosa non funzioni nei criteri di selezione degli aspiranti docenti?

Aggiornato il 30 maggio 2022 alle ore 09:42