II
POLITICA
II
L’interventodiMauroAurigi all’assemblea diMps
di
DIMITRI BUFFA
vete trascinato la città e la
banca nel fango, avete
spezzato i legami che le univano,
ne avete annullato ogni possibilità
di serena sopravvivenza. Neanche
le devastazioni della seconda guer-
ra mondiale avevano prodotto al-
trettanti danni alla prosperità e al-
la cultura della nostra comunità.
Sì, mi auguro che non ci sia pie-
tà». È un passo del tragicomico
intervento di Mauro Aurigi all’ul-
tima assemblea, quella del 25 gen-
naio scorso, quella in cui ha par-
lato anche Beppe Grillo.
Ovviamente tutti i giornali hanno
fatto pubblicità al partito dell’ex
comico suddetto, ma pochi si sono
soffermati sulle analisi tecniche di
un ex dipendente come Aurigi che
dal 1995, anno in cui se ne andò
in pensione indignato, ha sempre
bersagliato i vertici della banca se-
nese. Estendendo le colpe di quan-
to è accaduto anche ad altri oggi
dimenticati protagonisti del casi-
no, persone cui anzi fa quasi co-
modo che si prenda tutte le colpe
il povero Mussari. Oggi per esem-
pio nessuno sembra ricordare qua-
le fu il peccato originale e l’inizio
della fine per la banca: l’acquisi-
zione, sponsorizzata dall’entoura-
ge di D’Alema della Banca 121,
quella del Salento, che già all’epo-
ca, fine anni 90, conteneva i primi
titoli tossici che poi sono stati la
disgrazia del Monte Paschi, i fa-
migerati
“For you”
e
“My way”
.
Prodotti spalmati su tutti i porta-
fogli dei clienti, salvo doverne poi
risarcire buona parte. Ecco come
ricorda nel suo intervento quei
tempi memorabili il buon Aurigi
che inizia il proprio intervento ci-
tando Adam Smith a proposito
delle
“public company”
, categoria
cui appartiene oggi anche la banca
dopo le trasformazioni imposte
dalla legge Amato: «Queste socie-
tà sono dirette senza controllo da
soggetti che non impiegano il pro-
«A
prio denaro nell’impresa e che non
possono quindi impegnarsi con la
passione e l’accortezza che è na-
turale in chi rischia in proprio: es-
se vivono pertanto nella confusio-
ne e nella trascuratezza e sono
destinate a poco onorevole fine».
Una premonizione?
Poi la stoccata: «Adam Smith
aveva proprio ragione: niente è
cambiato, siamo ancora nella cul-
tura dell’occulto! La stessa cultura
che produsse all’inizio di questo
secolo l’affare Banca 121, affare
di valore assai inferiore a quello
dell’Antonveneta, ma nel modo in
cui fu realizzato parecchio più
scandaloso. Il Monte col 12% era
il maggior azionista del San Paolo
dopo la Fondazione San Paolo.
Per questo due suoi membri del
cda sedevano nel cda del San Pao-
lo. Ciò non evitò che tra le due
banche si scatenasse una compe-
tizione fratricida al rialzo del prez-
zo della Banca 121, che a libro va-
leva 250 milioni di euro ma che
in realtà valeva zero e forse molto
meno, come certificarono i funzio-
nari del Monte mandati a ispezio-
narla. Competizione che dagli ini-
ziali 400 milioni offerti dal Monte,
arrivò settimana dopo settimana
e a botte di rilanci di 100 milioni
per volta, fino a 1.100.000 di eu-
ro. Allora il San Paolo si ritirò dal-
la gara, ma il Monte, evidente-
mente non ancora soddisfatto, ci
aggiunse di suo altri 150 milioni
arrivando così alla cifra stratosfe-
rica di 1.250.000 milioni di euro
(ma non potevamo immaginarci
che quel record allucinante pochi
anni dopo sarebbe stato stracciato
con l’affare Antonveneta)».
Rispetto agli sponsor della ope-
razione Banca 121 Aurigi, autore
di un manifesto che nel 2003
riempì i muri di tutta Siena dichia-
rando «Massimo d’Alema persona
non grata», lascia poco spazio al-
l’immaginazione: «Come se non
bastasse “tre brave persone della
cui amicizia mi onoro”, come eb-
be a dichiarare alla stampa Mas-
simo D’Alema, ossia i principali
azionisti della 121, Semeraro, Gor-
goni e De Bustis, non paghi del
lussuoso regalo avuto con lo
scambio di azioni 121 con quelle
Mps, entrano a vele spiegate i pri-
mi due nel cda del Monte, il terzo
per sedersi sulla poltrona di diret-
tore generale con tutta la sua cor-
te. Insomma nella sostanza è come
se la Banca 121 avesse comprato
il Monte. I danni totali indiretti
provocati dall’operazione sono in-
calcolabili (infatti non sono mai
stati calcolati e la 121 fu incorpo-
rata: se gli errori del medico li co-
pre la terra, quello dei finanzieri
li copre la fusione)».
È bene soffermarsi su questa
operazione, spiega al telefono Au-
rigi a
l’Opinione
, perchè «oggi è
facile buttare la colpa di tutto su
Mussari e sull’operazione Anton-
veneta». Ma le cose, già dalla fine
degli anni ’90 avevano preso una
piega che non poteva che portare
al disastro attuale. La verità è un
po’ diversa da come viene vendu-
ta: in realtà la fondazione, mano-
vrata dal Pds (Pci-Ds ecc.) nazio-
nale con la complicità di parte di
quello locale, specie quelli del ver-
sante ex Margherita, ha pian pia-
no espropriato i senesi della ban-
ca. Pur continuando a tenerli tutti
buoni con la “droga” dei finanzia-
menti a pioggia.
O per usare le parole dello stes-
so Aurigi in assemblea, «la pletora
clientelare e servile che questa si-
tuazione ha fatto prosperare nelle
istituzioni, nei mezzi d’informa-
zione, nel panem et circenses delle
Contrade e dello sport, ecc., ma
questi si dissolveranno al sole, ora
che il Grande Feudatario è stato
abbattuto dal trono. Ma per tutti
gli altri, in caso di accertamento
di responsabilità diretta o per
mancata vigilanza, ci auguriamo
che siano colpiti anche i patrimoni
personali a parziale, modesto l’in-
dennizzo del futuro che avete scip-
pato a questa comunità ed ai suoi
figli». Della serie: “pietà l’e’ mor-
ta”, in quel di Siena.
segue dalla prima
Il casoMps
e la crisi del Pd
(...) nella fabbriche è stata preferito il con-
trollo dei consigli di amministrazione delle
banche.
In tempi diversi il tradizionale controllo
dei media da parte del Pd avrebbe per-
messo di nascondere la debolezza e difen-
dere la linea della scelta bancaria svalu-
tando le critiche e le accuse come il
prodotto del solito e vetusto anticomuni-
smo viscerale della destra conservatrice.
Ma il problema di oggi è che l’attacco alla
credibilità del Pd non viene solo dagli av-
versari tradizionali del centrodestra o del
centro ma è lanciato soprattutto da quelle
forze giustizialiste ed estremiste che si so-
no poste alla sinistra del partito di Bersani
e che gli contestato non tanto il controllo
di Mps quanto il tradimento della vec-
chia classe operaia e degli ideali del pas-
sato.
I sondaggi degli ultimi giorni parlano fin
troppo chiaro. Il Pd perde consensi a tutto
vantaggio di Ingroia e di Grillo e vede
progressivamente svanire la prospettiva,
che solo in autunno sembrava a portata
di mano, di poter conquistare il governo
del paese senza condizionamenti di sorta.
La causa è il “destino cinico e baro”? O
è la circostanza che presto o tardi i nodi
vengono al pettine e la pretesa di essere
al tempo stesso di lotta e di governo, degli
operai e dei padroni, dei poveri e degli
speculatori diventa sempre più insosteni-
bile?
ARTURO DIACONALE
Siena è soltanto
la punta dell’iceberg
(...) Solo che Fassina, nato e cresciuto nel
mito dello stato leviatano, sembra terro-
rizzato a lasciare che le banche si muo-
vano, seppur all’interno di norme strin-
genti, su un mercato senza i lacciuoli di
partiti che gli impongano scelte e nomine.
Eredi di una antica pratica spartitoria e
lottizzatrice, i compagni del Pd vorrebbe-
ro evidentemente continuare a mettere le
loro bandierine sul maggior numero di
enti e società del cosiddetto sottogoverno
italico. Poveri noi.
CLAUDIO ROMITI
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MERCOLEDÌ 30 GENNAIO 2013
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