uest’amore è una finta
sul ring» è il ritornello
di “Jack Punk”, la canzone dei
“Frida Fenner” che ha scaldato
il motore di
Jack Frusciante è
uscito dal gruppo
, pellicola tratta
dal libro cult di Enrico Brizzi.
Dissimulare, in fondo, è un tratto
indelebile del genere umano.
Dal malore occasionale per
non essere interrogati a un orga-
smo richiamato con il pensiero,
ogni occasione è buona per ca-
varsela con un’azione posticcia
per la cui pulizia non è necessa-
ria una confessione in chiesa. Ep-
pure nella farsa, spesso e volen-
tieri, noi italiani sappiamo
distinguerci con dei colpi di tacco
più artistici delle magie pennel-
late da Leo Messi.
In tal senso la frode ha semi-
nato proseliti, dettando la marcia
sul filo sottile del “tanto nessuno
ci becca”.
Le Fiamme gialle, nel 2012,
hanno messo il bavaglio a truffe
e danni erariali per 6,5 miliardi
di euro. Dal calderone, tra le al-
tre cose, sono affiorati oltre
3.500 “finti poveri”, 1.047 falsi
invalidi, 1.274 dipendenti pub-
blici che svolgevano “doppi la-
vori”.
Il generale di corpo d’armata
Saverio Capolupo, comandante
generale della Guardia di finan-
za, ha commentato: «L’attuale
«Q
periodo di crisi ci ha obbligato a
innalzare il livello di attenzione
sui temi della tutela delle risorse
dello Stato.
Le istituzioni sono molto più
impegnate ad individuare le mi-
gliori pratiche per ridurre sprechi
e inefficienze e anche l’opinione
pubblica è più attenta di fronte
agli episodi di mala gestione o di
sperpero delle risorse».
I numeri sono impietosi, quasi
quanto i conti del Monte dei Pa-
schi: 5mila truffatori (4.600 per
la precisione) sono stati denun-
ciati all’Autorità giudiziaria, con
il conseguente sequestro di beni
mobili, immobili, valuta e conti
correnti per 348 milioni di euro.
Al ballo dell’illegalità hanno
preso parte persino gli accerta-
menti di frodi previdenziali e as-
sistenziali per 103 milioni di euro
percepiti da falsi invalidi (oltre
mille casi) e falsi braccianti agri-
coli (3.297 casi) o spesi per pa-
gare la pensione a soggetti dece-
duti (395 casi). Sulle note hanno
danzato pure “assegni sociali”
(569 casi) e altre tipologie di so-
stegno (655 casi) a non aventi di-
ritto.
Una fetta dell’esercito dei po-
veri fasulli ha goduto di presta-
zioni sociali agevolate come l’ac-
cesso ad asili nido e ad altri
servizi per l’infanzia, senza pri-
varsi della riduzione del costo
delle mense scolastiche, dei buoni
libro per studenti e le borse di
studio, dei servizi socio-sanitari
domiciliari e delle agevolazioni
per servizi di pubblica utilità, lu-
ce, gas o trasporti.
Per rimanere fedeli alla coe-
renza, non è stato risparmiato il
già claudicante servizio sanitario
nazionale, a cui è stato sommi-
nistrato il siero della vergogna:
1.781 i truffatori pizzicati, con
un danno accertato di 72 milioni
di euro; sono stati 5 miliardi di
euro di danni erariali a seguito
di 1.431 controlli effettuati d’ini-
ziativa o su delega della Corte
dei conti.
Per giunta, nel libro nero han-
no messo la firma ben 1.274 di-
pendenti pubblici per casi di in-
compatibilità e doppio lavoro.
“Cose di casa nostra”, verreb-
be da dire, anche se il principe
Antonio De Curtis, nel film To-
totruffa 62, aveva sentenziato:
«Dovrei lavorare invece di cer-
care dei fessi da imbrogliare, ma
non posso, perché nella vita ci
sono più fessi che datori di lavo-
ro».
Sono trascorsi cinquantuno
anni, ma una delle più gettonate
barzellette (in)civiche dello Sti-
vale rimane di moda. Riderci so-
pra, ancora una volta, fa venire
solo da piangere.
CLAUDIO BELLUMORI
II
POLITICA
II
È partita una campagna elettorale... da paura
di
VALENTINA MELIADÒ
irare e parlare con la gente.
Facile. Per capire quale sia
l’attuale realtà italiana alla vigilia
di elezioni politiche delicatissime
come quelle del 24 e 25 febbraio,
basterebbe entrare in qualche ne-
gozio e fare qualche domanda.
Sempre che il negozio in questione
ci sia ancora. Chiunque può mi-
surare la febbre del paese in questi
giorni. Bisogna solo guardarsi in-
torno. Enormi centri commerciali
aperti tre anni fa in pompa magna
ridotti a bunker di cemento dove
sopravvivono un negozio o due,
magari un Mc Donald’s e una caf-
fetteria, con buona pace di inve-
stimenti milionari andati in fumo
per mancato guadagno, impossi-
bilità di pagare le spese, o perché,
più sinteticamente, il gioco non
vale la candela. Chiudono persino
le pizzerie al taglio, fino a poco
tempo fa considerate miniere
d’oro, e vendere un’attività - ma-
gari per ripianare i debiti contratti
con le banche per aprire - in que-
sto momento è semplicemente im-
possibile. Parola del giovane, nuo-
vo parrucchiere che ha perso il
lavoro dopo la chiusura dell’im-
portante salone per il quale lavo-
rava, e si è messo in proprio un
paio di mesi fa. Come? Con i soldi
di papà, ovviamente, perché la
banca credito non ne fa a nessuno,
nemmeno a un giovane con oltre
dieci anni di lavoro alle spalle e
dei risparmi da investire in una
propria attività. Niente da fare.
G
Il dato secondo cui chiudono
circa mille imprese al giorno è pal-
pabile, visibile, fisico. E le ragioni
di questa “carneficina” sono tal-
mente evidenti da lasciare molto
perplessi sulla possibilità di una
ripresa nei prossimi mesi. Pesa, su
qualsiasi speranza per il futuro
prossimo, l’incubo di una campa-
gna elettorale da paura. Nel vero
senso della parola. È difficile per-
sino districarsi mentalmente nella
foresta dell’offerta politica in cam-
po. Da un lato, purtroppo, la sto-
ria che si ripete da vent’anni: Ber-
lusconi, la sinistra e le reciproche
alleanze; dall’altra, il nuovo che
di nuovo non ha più nulla: Monti
e la coalizione di centro che lo so-
stiene. Nuovo in effetti Monti lo
era, un anno fa. Per questo le
aspettative nei suoi confronti era-
no enormi, ma buona parte di
quel credito si è consumata nella
ritrovata credibilità internazionale
dell’Italia, che è un merito indi-
scutibile della persona, oltre che
del ruolo e dei rapporti ricoperti
e coltivati precedentemente in Eu-
ropa, mentre il resto è andato in
fumo con una discesa (o salita, fa-
te voi) in campo sponsorizzata da
due degli elementi più conserva-
tori e meno riformisti di sempre
della politica italiana: Fini e Ca-
sini. Il primo ancora alla ricerca
del suo posto nel mondo, il secon-
do dedito da almeno sei anni alla
tessitura del grande centro, con-
vinto di aver finalmente trovato il
cavallo e lo sponsor giusti per va-
rare la nave: Monti e Montezemo-
lo. Sarebbe questa la novità delle
prossime elezioni, la società civile
che si presta alla politica per il
cambiamento, e che per tale nobile
scopo è pronta ad allearsi con tut-
ti, come il buon Casini insegna da
tempo. Proprio Monti, infatti, che
da settimane addossa ora al Pd,
ora al Pdl, la responsabilità degli
scarsi risultati del suo governo, ri-
ferendosi una volta alla mancata
volontà della sinistra di portare la
riforma del lavoro fino in fondo,
un’altra alla paternità della destra
dell’odiosa Imu e del cretinissimo
redditometro, evitando tuttavia di
spiegare perché ci siamo sciroppati
un anno di governo tecnico se le
decisioni da prendere le aveva già
prese il governo precedente, e se
il blocco politico e sindacale meno
incline alle riforme si è ugualmen-
te imposto, è ora disponibile ad
allearsi tanto con il Pd (senza Ven-
dola) quanto con il Pdl (senza Ber-
lusconi). Per fare cosa, poi, una
volta arrivati a Palazzo Chigi? Mi-
stero della fede. I contenuti, infatti
sono i grandi assenti di tutta la
campagna elettorale. Certo, si par-
la di tasse ed economia, le note
più dolenti in questo momento in
Italia, ma tutto finisce in vaghe
promesse e accuse reciproche. Per-
ché nessuno dei tre leader delle
maggiori formazioni politiche è
credibile. Non Berlusconi, al quale
è lecito chiedere perché dovrebbe
realizzare con un nuovo esecutivo
quello che non ha fatto nelle pre-
cedenti esperienze governative;
non Monti, che, nonostante un
Parlamento sotto lo scacco del-
l’emergenza, e un governo esone-
rato dal giudizio elettorale, ha
scelto la strada a tempo determi-
nato dell’impoverimento per il ri-
sanamento, ed ora non si capisce
perché, con una eventuale mag-
gioranza certamente meno ampia
della precedente, dovrebbe predi-
ligere politiche nettamente diverse.
Ma anche Bersani è poco credibi-
le. Dopo aver combattuto contro
l’unica ventata di riformismo e
rinnovamento che si fosse vista in
Italia da anni, Matteo Renzi, aver
riaffermato il primato della no-
menklatura e della tradizione di
partito assicurando ai peggiori ne-
mici del sindaco di Firenze l’enne-
simo seggio in Parlamento, ed aver
scelto l’alleanza alla sinistra del
Pd, non si vede proprio in che mo-
do il leader dei democratici po-
trebbe tenere insieme, in un even-
tuale governo, le istanze di Sel e
della Cgil con la promessa coeren-
za all’azione del governo Monti e
ai vincoli europei. Per non parlare
naturalmente di tutto il resto.
Quel resto fatto di politica estera,
sicurezza, giustizia, società civile,
Unione Europea, visione di sé e
del proprio ruolo nel mondo. Tut-
te bazzecole scientemente escluse
dal dibattito di una campagna
elettorale da paura.
«Casa.Deduzione
al 5%?Nonbasta»
Tra truffatori e furbetti,
una classica storia italiana
La legge di riforma del mercato
del lavoro (n. 92/2012) ha previ-
sto, a decorrere dal 2013 (da ap-
plicarsi – quindi – con la dichia-
razione dei redditi da presentare
nel 2014), la riduzione dal 15 per
cento al 5 per cento della dedu-
zione forfettaria Irpef per i redditi
da locazione (quale parte della co-
pertura finanziaria del provvedi-
mento).
La deduzione del 15 per cento
è una deduzione forfettaria delle
spese che sono a carico del pro-
prietario che loca (imposte e tasse,
manutenzione ordinaria e straor-
dinaria, riparazione, assicurazione,
amministrazione, rischio sfitto
ecc.). Non è, quindi, una agevo-
lazione, ma semplicemente una
modalità di determinazione del
reddito da locazione.
Per tutte le attività, il reddito
si determina al netto delle spese
sostenute per ottenerlo.
L’unica differenza è che, per i
locatori, le spese non sono deter-
minate analiticamente ma in mo-
do forfettario.
Fino a qualche anno fa, peral-
tro, tale deduzione era pari al 25
per cento. Cifra che era comunque
più bassa rispetto a quella che gli
studiosi di estimo applicano in re-
lazione al livello dei costi che gra-
vano sul proprietario, calcolata in
circa il 30 per cento. L’aver por-
tato al 5 per cento la percentuale
di deduzione in parola significa,
in sostanza, negare – con una mi-
sura senza precedenti – il ricono-
scimento dei “costi di produzione”
di un reddito, quello da locazione.
Questo, con misura di assai dub-
bia costituzionalità, posto che il
reddito da locazione viene discri-
minato
in peius
rispetto ad altri
redditi e perché, comunque, si as-
soggetta a imposizione fiscale un
reddito superiore a quello reale,
siccome depurato di costi (5 per
cento) all’evidenza insignificanti.
La Confedilizia ha chiesto
formalmente che venga ripristi-
nata la percentuale – di per sé,
comunque, insufficiente – del 15
per cento.
CORRADO SFORZA FOGLIANI
Presidente di Confedilizia
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 30 GENNAIO 2013
3
1,2 4,5,6,7,8