arlare di “problema di immigra-
zione” negli Usa può sembrare
un paradosso. Gli Stati Uniti sono
una nazione fondata sugli immigra-
ti. Se tornassero tutti a casa loro,
come mostra un’intelligente vignetta
di Christo Komar (bulgaro), rimar-
rebbero solo un paio di nativi ame-
ricani in mezzo a grattacieli vuoti.
Eppure le leggi sulla cittadinanza
stanno diventando un problema se-
rio e sono considerate una priorità
dall’amministrazione Obama. Per-
ché l’ondata migratoria dall’Ame-
rica Latina sta cambiando il volto
del Nuovo Mondo. Sono già il
17% della popolazione e, in pro-
spettiva, potrebbero superare il
30% in poco più di un decennio.
Ciò costituirebbe un cambiamento
epocale, in grado di trasformare
non solo la lingua, ma anche gli usi
e i costumi della nazione americana.
La destra statunitense sta dunque
sviluppando due tendenze opposte.
Da un lato i più aperturisti: voglio-
no integrare nei valori americani i
nuovi arrivati. Dall’altro gli isola-
zionisti, che intendono rafforzare
le barriere all’ingresso. Prima che
Obama presenti la sua legge “on-
nicomprensiva” sull’immigrazione,
in Senato, una parte dei Repubbli-
cani, assieme ai Democratici, ha
presentato un proprio disegno di
legge. John McCain (ex candidato
alle presidenziali del 2008) e Marco
Rubio (Senatore della Florida di
P
origine cubana e probabile candi-
dato per le presidenziali del 2016)
sono i capofila della nuova propo-
sta. Si aggiungono a loro altri cin-
que Senatori di stati “caldi” sul
fronte dell’immigrazione clandesti-
na: i Democratici Dick Durbin (Il-
linois), Robert Menendez (New Jer-
sey) e Michael Bennet (Colorado)
e i Repubblicani Lindsay Graham
(South Carolina) e Jeff Flake (Ari-
zona). Le linee guida sono chiare:
semplificare le procedure per far ot-
tenere la cittadinanza americana, o
quantomeno un regolare permesso,
a chi arriva in America per lavorare.
Assieme alla semplificazione, deve
essere rafforzato il controllo alle
frontiere, in modo da prevenire l’ar-
rivo di una nuova ondata di clan-
destini. I Repubblicani isolazionisti,
forti soprattutto negli stati del Sud
contestano questa proposta, consi-
derandola una sorta di “amnistia”
dei clandestini. È soprattutto ai suoi
oppositori interni che McCain si ri-
volge, quando afferma che già oggi,
di fatto, è in atto un’amnistia. Per-
ché, con le complicate leggi già in
vigore, molti onesti lavoratori im-
migrati sono spinti nella clandesti-
nità. «Siamo d’accordo sul fatto
che non sia un bene per questa na-
zione avere così tanta gente nasco-
sta nell’ombra dell’illegalità – spie-
ga McCain – Creiamo piuttosto un
sistema che li faccia emergere, che
permetta loro di saldare i loro conti
con la società e che possano otte-
nere tutti i requisiti necessari per
diventare dei cittadini responsabili
di fronte alla legge». Ma, si chie-
dono i conservatori più isolazioni-
sti, perché i latinos non vogliono
imparare la lingua del Paese in cui
vanno a vivere? Siamo sicuri che
siano loro a volersi integrare? O ri-
marranno un corpo estraneo? For-
se sono le stesse domande che si
ponevano gli anglosassoni nell’800,
quando al posto dei latinos c’era-
vamo noi italiani. Ma noi, la lin-
gua, l’abbiamo dovuta imparare
eccome per poterci integrare.
GIORGIO BASTIANI
II
ESTERI
II
È giunto il momento di una Rivolta di Atlante
di
STEFANO MAGNI
America sta vivendo il suo
momento da “Rivolta di
Atlante”? Il romanzo filosofico di
Ayn Rand, pubblicato nel 1957,
continua a ispirare libertari e con-
servatori. Nell’utopia negativa te-
muta dall’autrice, fuggita dall’Unio-
ne Sovietica, gli Stati Uniti si
trasformano gradualmente in un re-
gime statolatrico in cui la libertà in-
dividuale è sempre più repressa.
Non con un colpo di Stato (come
era avvenuto in Russia nel 1917,
con la presa del potere da parte dei
bolscevichi), ma con una lenta e ine-
sorabile rinuncia alle libertà da parte
dei cittadini stessi. Il Senatore Ron
Johnson, imprenditore e politico re-
pubblicano, ritiene che gli Usa ab-
biano ormai preso questa china. In-
tervistato da Laurie Rice, della Atlas
Society (associazione che diffonde
il pensiero oggettivista, la filosofia
di Ayn Rand), Johnson sostiene che
gli americani siano ormai come un
gruppo di rane: «in una pentola in
cui l’acqua viene fatta riscaldare po-
co alla volta fino all’ebollizione. Stia-
mo perdendo la nostra libertà senza
rendercene conto. Il motivo della
mia entrata in politica è l’approva-
zione della riforma sulla sanità, che
penso sia il più grande assalto alla
nostra libertà, almeno fra quelli a
cui ho assistito nel corso della mia
vita». L’Obamacare, che prevede
l’assicurazione sanitaria obbligatoria
per la maggioranza dei cittadini
americani, può essere intesa come
un primo passo verso la nazionaliz-
L’
zazione. È un esempio di cura sta-
talista introdotta subdolamente, sen-
za che i pazienti se ne accorgano.
Ma non è l’unico. Johnson, la cui
azienda produce apparecchiature
mediche per il sistema sanitario, cita
anche altre forme di vessazione sta-
tale. Controlli sulla qualità, per
esempio, ridondanti rispetto al ne-
cessario. Fanno perdere tempo e de-
cine di migliaia di dollari. E poi ci
sono le tasse, oltre alle nuove regole,
che scoraggiano chiunque dall’aprire
una nuova attività. «Quando parlo
con imprenditori che hanno avviato
la loro impresa negli anni ’70 e ’80
– spiega Johnson – mi dicono sem-
pre: “Ron, non ce n’è: con le regole
che ci sono adesso e questo livello
di tassazione, non ci sarebbe stata
alcuna possibilità di avviare la mia
azienda, se avessi deciso di farlo og-
gi”. E sono preoccupato dal fatto
che una gran parte babyboomers (i
cinquantenni nati nel boom delle
nascite, ndr), che oggi sono impren-
ditori di successo, possano scrollarsi
di dosso tutto il loro fardello. Con
tutte le tasse e le regole che abbia-
mo, possono semplicemente decide-
re di mollare tutto».
L’ipotesi del romanzo “La Rivol-
ta di Atlante” è proprio questa: che
i più produttivi e creativi imprendi-
tori, artisti, intellettuali e scienziati
d’America si scrollino di dosso il lo-
ro fardello e si ritirino in beata so-
litudine nel Galt’s Gaulch, l’utopia
capitalista creata dallo scienziato e
imprenditore John Galt. Il perso-
naggio è frutto della fantasia della
Rand, ovviamente. E non c’è alcun
rifugio per capitalisti nascosto nelle
Montagne Rocciose, come l’autrice
aveva immaginato e sperato. L’eva-
sione delle menti migliori d’America,
oggi, potrebbe avvenire sotto forma
di una fuga di capitali. O di una me-
ra chiusura delle loro attività. Se-
condo Johnson non siamo lontani
da questo momento: «Vedo due so-
glie d’allarme che stiamo superando.
La prima è la soglia finanziaria. Stia-
mo parlando della crisi del debito,
del momento in cui i nostri creditori
stranieri guarderanno agli Stati Uniti
e diranno: “non voglio più prestar
loro nulla, almeno non a questo tas-
so di interesse”. I tassi aumenteran-
no e i loro costi esploderanno, com-
promettendo tutta la nostra spesa
pubblica. L’altra soglia che stiamo
varcando è culturale. Stiamo rasse-
gnandoci a una mentalità della di-
pendenza, estranea alla tradizione
americana. L’America – e ciò di cui
parla “La Rivolta di Atlante” – è
fondata sull’aspirazione individuale
a costruire qualcosa di nuovo. A far-
si una vita migliore e, quale conse-
guenza, a creare un mondo migliore.
Se adottiamo una mentalità in cui
la gente è semplicemente contenta
di sedersi su quel che ha e attendere
che il governo badi ai suoi affari, il
nostro Paese sarà veramente in pe-
ricolo».
Da politico conservatore quale
è, Ron Johnson ritiene che l’America
sia «qualcosa di troppo prezioso
nella storia umana. Non mi arren-
derò mai, non smetterò mai di spe-
rare in questa nazione e spero che
nessuno si arrenda». Il Senatore ve-
de la storia dell’umanità come «…
una continua lotta per la libertà. Ed
è per questo che sono entrato in po-
litica, perché vedo che la libertà in
America è in pericolo. Io definisco
sempre questo Paese come un espe-
rimento iniziato 236 anni fa. È
un’innovazione preziosa e sono mol-
to preoccupato dal fatto che la stia-
mo perdendo».
Cosa direbbe Ron Johnson se vi-
vesse in Europa? Ne “La Rivolta di
Atlante”, il Vecchio Continente è
perduto. Le sue democrazie liberali
sono state rimpiazzate da Repub-
bliche Popolari di stampo sovietico.
La Rand non aveva alcuna speranza
che nel resto dell’Occidente (Ame-
rica a parte) potesse esserci la forza
necessaria a contrapporsi alla col-
lettivizzazione. Perché in Europa
manca una cultura dell’individuo e
della sua libera iniziativa. Oggi, pa-
radossalmente, ci sono Paesi europei
economicamente più liberi degli Sta-
ti Uniti. La Svizzera, ad esempio, ma
anche la Danimarca, secondo l’In-
dice della Libertà Economica del
2013, sono molto più aperte rispetto
agli stessi Usa. Ma non ci si deve il-
ludere: sono le eccezioni che confer-
mano la regola. Le soglie di allarme
sul debito e sulla cultura della di-
pendenza sono già state ampiamente
superate in Italia, così come in Spa-
gna, Grecia, Francia, Portogallo e in
gran parte dei Paesi continentali oc-
cidentali. Le uniche ribellioni a cui
assistiamo, da questa parte del-
l’Atlantico, non sono quelle degli
imprenditori troppo vessati da re-
gole e imposte. Depardieu fugge (da
solo) dalla super-tassa del 75% vo-
luta dai socialisti francesi, ma la
stampa lo considera un traditore. In
Italia, Spagna e soprattutto in Gre-
cia, l’onda crescente dell’indignazio-
ne si rivolta contro i capitalisti, gli
evasori, la finanza e le banche, mai
contro lo Stato. Anzi: i cittadini chie-
dono a gran voce sempre più potere
statale, perché vogliono più sicurez-
za e non più libertà. In Grecia sono
già passati alla fase successiva della
“Rivolta di Atlante”: alla formazio-
ne di movimenti irrazionali, popu-
listi e reazionari, potenzialmente dit-
tatoriali. Al fallimento del settore
pubblico, chiedono ancora più na-
zionalizzazioni. Abbiamo decisa-
mente superato la soglia di allarme
culturale. Ma da noi esiste, non dico
un John Galt, ma almeno qualcuno
che inizi a desiderarne l’arrivo?
Perché l’Iran lancia
la scimmia spaziale
Porte aperte agli immigrati
Il dibattito negli Stati Uniti
Per Ron Johnson
(senatore repubblicano),
gli Usa perdono la libertà
e non se ne accorgono
Nella vecchia Europa,
in compenso,
ormai dipendiamo
interamente dallo stato
K
Vignetta di C. KOMAR
li iraniani hanno lanciato una
scimmia nello spazio. A giu-
dicare dalla faccia del primate, al
suo ritorno, non è stata affatto con-
tenta dell’esperienza storica. Ma in-
tanto è tornata illesa sulla terra, do-
po un volo sub-orbitale, ad almeno
120 km di quota. A cosa servirà
mai mandare un’ignara scimmia ai
confini del cosmo? Teheran, stando
alle dichiarazioni trionfali del pre-
sidente Mahmoud Ahmadinejad,
intende mandare il suo primo co-
smonauta nello spazio entro il
2019. L’Iran ha già vissuto il suo
“momento Sputnik” nel 2009,
quando mandò in orbita il suo pri-
mo satellite civile, lo Homid. Nei
prossimi sei anni vuol preparare il
giorno del suo “Gagarin”, mandan-
do un primo uomo islamico oltre i
confini dell’atmosfera. Si tratta, pri-
ma di tutto, di una questione di
prestigio e propaganda. La Repub-
blica Islamica, nazione reietta, col-
pita da dure sanzioni per il suo pro-
gramma atomico, vuole cercare un
riscatto, facendosi vedere all’altezza
tecnologica delle grandi potenze. È
una sfida lanciata soprattutto con-
tro gli Stati Uniti. Anche un’altra
nazione reietta e sotto sanzioni, la
Corea del Nord, ha lanciato, a di-
cembre, il suo primo oggetto spa-
ziale in orbita. A Pyongyang dicono
che sia un satellite per le comuni-
cazioni. Nessuno ha ancora verifi-
cato che funzioni, ma intanto la so-
G
glia dello spazio è stata superata.
Il problema, per gli Stati Uniti
(e per Israele e la Corea del Sud), è
che sia l’Iran che la Corea del Nord
non realizzano alcuna tecnologia
per puri scopi di propaganda. Quei
missili che lanciano satelliti e scim-
mie nello spazio, un domani pos-
sono essere trasformati in missili
balistici intercontinentali. Se armati
con testate nucleari, potranno mi-
nacciare tutti i nemici degli “Stati
canaglia”. Il pericolo appare ancora
abbastanza remoto. Per ora. Perché
l’Iran non ha ancora la sua bomba
atomica e la Corea del Nord, pur
avendocela, non è ancora stata in
grado di miniaturizzarne una e
montarla su un missile. Nessuno si
aspetta che, nel breve periodo,
l’Iran e la Corea del Nord si dotino
di un arsenale nucleare in grado di
sfidare quello degli Stati Uniti. Ma
ci sono modi più “creativi” per usa-
re un missile nucleare, oltre a quel-
lo di lanciarlo su una città. Quel
che temono gli Usa è soprattutto
un attacco Emp, che può essere ef-
fettuato anche con un singolo mis-
sile a medio raggio, già in dotazio-
ne negli arsenali della Corea del
Nord e dell’Iran. Una singola esplo-
sione nucleare ad alta quota, a
400-600 km dal suolo, può teori-
camente paralizzare tutta l’elettro-
nica, le linee elettriche e le teleco-
municazioni degli Stati Uniti.
(ste. ma.)
L’OPINIONE delle Libertà
MERCOLEDÌ 30 GENNAIO 2013
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