Piovono soldi   a “Gazawood”

La forza comunicativa dell’ufficio relazioni esterne di Hamas è tale che le telecamere sono presenti prima della dipartita della vittima. Lo si è visto durante un’Intifada con un bambino stretto tra le braccia del padre, “barbaramente ucciso” dalle forze con la stella di David: welcome to Gazawood.

Ma le vittime non piacciono a nessuno. Purtroppo se una persona attraversa il raccordo anulare di Roma, ha una grande possibilità di venire travolto da qualcuno e la colpa non può sempre ricadere su un automobilista. Israele, ore prima di un attacco, invita i residenti a lasciare le case dove Hamas ha posizionato i suoi lanciamissili e chiede oppure obbliga la popolazione a rimanere, spesso su minaccia di accusa di collaborazionismo, con immediata sentenza di tortura e sommaria esecuzione da parte dei propri fratelli. Gerusalemme fa piovere messaggi, telefona a ogni nucleo familiare. Ma non può e non deve fare a meno di difendersi, di porre fine a questa lunga pioggia che oramai ha raggiunto ogni angolo del Paese, ma anche parti della Palestina diciamo “sana” (tanto per differenziarla con la parte egiziana di Gaza) chiamata West Bank e anche il deserto egiziano del Sinai.

Oltre 1300 razzi sono partiti dalla striscia negli ultimi giorni. Martedì, la signora Federica Mogherini, ministro degli Esteri della Repubblica, a nome dell’Europa – visto il semestre italiano – è andata a parlare con le autorità israeliane e palestinesi. Non siamo a conoscenza di tutto quel che abbia detto ai politici della regione, in quanto sono state riportate solo poche frasi, come “abbiamo apprezzato molto il supporto che Abu Mazen ha dato a questa soluzione (la tregua proposta dall’Egitto, ndr), o meglio proposta di soluzione. Così come la sua telefonata questa mattina a Hamas per rispondere in maniera positiva a questa proposta. L’Italia è impegnata a livello bilaterale ed europeo per fare in modo che ci sia un rilancio di un processo politico di pace e per arrivare a un cessate il fuoco a Gaza” .

“All’Unrwa, l’agenzia dell’Onu per l’aiuto ai rifugiati palestinesi in Palestina, Libano e Siria, il governo italiano darà un contribuito da 4 milioni di euro. Una decisione che riafferma – è detto in un comunicato ufficiale – l’impegno italiano in continuità con gli scorsi anni. L’Italia ha recentemente donato un milione di euro alla scuola Al Shouka nella Striscia di Gaza per migliorare le strutture e per l’acquisto di nuovi materiali da studio e di sviluppo per i bambini disabili. Altri 2,5 milioni di euro sono stati dati a supporto della riforma del sistema sanitario in Libano e mezzo milione di euro per cibo destinato alla Siria”. Negli ultimi anni l’aiuto italiano è costantemente cresciuto: dal 2000 l’Italia ha contribuito con oltre 105 milioni di dollari (più di 76 milioni di euro) al budget dell’Unrwa. Così riportava l’Ansa.

Ci chiediamo come mai le autorità di Gaza (secondo molti servizi televisivi, nella Striscia vi sono ministeri mai legati a quelli palestinesi della Cisgiordania) non hanno mai investito in scuole, ospedali o in altri servizi essenziali, pur possedendo migliaia di missili. Dove sono andati a finire i 105 milioni di dollari italiani e le altre somme versate da occidentali, arabi e altri benefattori?

Il comunicato ufficiale parla dei palestinesi rifugiati in Palestina: ma agli italiani rifugiati in Italia o a chi sceglie questo Paese per naufragare con le carrette del mare, non farebbero comodo almeno alcuni di quei soldi? Si può essere accusati di razzismo per questo o le parole disoccupazione, pensione, assistenzialismo possono far capire che il nostro è diventato un Paese povero al suo interno ma apparentemente ricco per l’estero?

Sarà molto felice, della visita del ministro Mogherini, Abu Mazen, e soprattutto il sindaco Luigi De Magistris, che durante una pomposa cerimonia di una “giornata storica” ha consegnato al leader palestinese, nell’aprile 2013, le chiavi della città.

Ancora una volta chi lancia i missili è solo il braccio armato di Hamas, mentre l’ala moderata seduta al governo è semplicemente palestinese (come le vittime). Ancora una volta non viene valutato chi si sveglia al suono delle sirene per l’arrivo dei missili e ha poco tempo per fuggire. Notiamo che dopo la magra figura fatta da Hamas nel rifiuto della tregua, gli episodi mediorientali di Gaza non raggiungono il podio fra le notizie dei telegiornali, mentre Siria, Iraq e Libia sono scomparsi dai notiziari.

Questo il gioco di una politica oramai antica. Fino a quando i popoli si ammazzano tra di loro non fanno notizia, basti soffermarsi a parlare dei marocchini contro le tribù sahariane, degli ucraini russi contro quelli semplicemente ucraini, dei siriani contro loro stessi, dei libici contro i libici (ma lì si parla di tribù). Ci ricordiamo di terre egiziane e giordane mai rivolute dai loro presidenti o re, poi diventate “palestinesi” dopo il 1967; ci ricordiamo delle brigate rosse e della banda tedesca della Baader Meinhof che si allenavano con l’Olp del Nobel per la pace Yasser Arafat, nel sud del Libano.

Il Libano ci rammenta la foto di un Massimo D’Alema sorridente al fianco degli Hezbollah. Proprio l’ex presidente del Consiglio italiano (questo articolo viene scritto prima della votazione di Strasburgo) costituisce la seconda scelta che Matteo Renzi offre, dopo quella di Federica Mogherini (anche di lei nota foto accanto ad Arafat), per la nomina ad alto rappresentante della politica estera della Ue. Quale sarà il male minore?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:48