Epopea di uno Stato   “auto-martirizzato”

Sempre pronti per scagliare missili e accuse, palestinesi e occidentali sostengono che Israele usi troppa potenza, ma si tratta di una scusa per gettare benzina sul fuoco dell’antisemitismo.

Da oltre duemila anni gli ebrei devono difendersi. Non perché propaghino un’epidemia, certamente non perché accusati di proselitismo. Fino a qualche Papa fa, si accusavano i “fratelli maggiori” di deicidio e sempre grazie ad alcuni editti papali dal Medioevo in poi, gli ebrei venivano tacciati di essere degli usurai.

Anticamente il Re di Israele possedeva solo una fionda e con astuzia era riuscito a piegare il gigante filisteo. Oggi, dopo aver subito di continuo le minacce e gli attacchi, soprattutto stanco di tregue atte solo a rinforzare Hamas, l’invidiato paese occidentale in un mondo dove ci si fa scudo con i propri figli e a una donna non si consente autonomia, reagisce per porre fine a un gruppo sanguinario. La missione è anche quella di aiutare gli occidentali ed evitare altri 11 settembre, perché agli occidentali non bastano i milioni di dollari ufficialmente regalati al popolo sofferente, ma inviati come riscatto per sedare il terrorismo internazionale.

Gli israeliani da accusare per una loro vena espansionistica sono molto pochi e grazie al cielo ve ne sono, perché nessuno è perfetto su questa Terra. Vi sono alcuni estremisti, ma soprattutto si tratta di gente esausta per il doversi svegliare quotidianamente al suono delle sirene e passare le intere giornate a correre rapidamente nei rifugi. Si parla di persone, non dello Stato.

Se soltanto fossero stati un tantino più egoisti, negli accordi con Egitto e Giordania del 1978 e del 1994, gli israeliani non avrebbe permesso agli Stati vicini di non riprendersi le terre della West Bank e di Gaza e non avrebbero restituito parte delle terre occupate dopo aver subito, ma vinto, la “guerra dei sei giorni” nel 1967.

Il previdente Egitto ha rivoluto il Sinai per tenere gli abitanti di Gaza più lontani, così come Israele che ha pur custodito alcune terre: immaginate la situazione siriana più vicina a Israele, se alcune alture del Golan fossero state restituite.

“Sicurezza” è da sempre la parola più importante per l’intera cittadinanza israeliana: il nemico ha meno possibilità di uccidere se è maggiore la distanza dall’obiettivo. Pensate a 11mila missili pronti a essere sguinzagliati in ogni direzione: alcuni verso Gerusalemme, città Santa anche per i musulmani, altri che martellano le cittadelle nel sud di Israele, uno che ha ucciso un agricoltore di origine thailandese e infine quelli che colpiscono una casa nella parte cisgiordana della Palestina (ovviamente di questi ultimi alcune testate giornalistiche non ne parlano). Vittoria è per Hamas l’isolamento aereo, economico e politico di Israele.

Ricordiamo che fino alla rinascita dello Stato di Israele nel 1948, venivano chiamati palestinesi proprio gli ebrei: dalla “Palestine Symphony Orchestra” alla “Brigata Palestinese” che liberò l’Italia dal nazifascismo. La terra dei Filistei autoproclamatasi nazione, con grande soddisfazione dell’ “Eurabia” e dell’ “Organizzazione Araba della Nazioni Unite”, è composta da più parti, come la Francia e i suoi possedimenti di oltremare, oppure il Commonwealth.

La parte essenziale dello stato è la West Bank, governata da Abu Mazen (Mahmud Abbas), per cui è valido il vecchio detto “mentre stringi la mano destra a un arabo, ti accoltella con la sinistra”: quest’anno da un lato ha definito la Shoah “il crimine peggiore”, d’altro canto ha voluto al Governo i rappresentanti di Hamas. Nessuno oggi – neanche una disdetta ufficiale palestinese – parla della fuga della famiglia di Abu Mazen verso la Giordania, per motivi di sicurezza. Forse per non spiegare che i fratelli terroristi (così definiti anche dall’Unione europea e dagli Stati Uniti) hanno minacciato il leader e la sua famiglia. Certamente per non mostrare la crescente debolezza di Fatah (Al-Fath), il partito di Abbas.

Nella West Bank sono stati uccisi i tre giovani studenti ebrei. Fortunatamente il muro di difesa costruito da Israele lungo il confine, evita da anni altri spargimenti di sangue. Muro triste come può esserlo un muro, ma senz’altro necessario. D’altronde uno Stato può erigere quel che vuole al proprio confine; basti vedere quello appena ultimato che divide la Grecia dalla Turchia, quello che non fa entrare in Marocco il popolo sahariano (sebbene sia anche lui di passaporto marocchino), oppure la doppia palizzata tra Messico e Usa: barriere tutte queste per i quali nessuno in Occidente ha mai detto qualcosa contro.

Nell’egiziana Gaza, che per libera votazione ha eletto rappresentante l’organizzazione paramilitare Hamas, Israele si è ritirata nel 2005, smantellando anche degli interi villaggi che vi si erano insediati dal 1967. Nel suo discorso, il premier Ariel Sharon (morto nel gennaio di quest’anno a 85 anni) disse: “Non possiamo stare a Gaza per sempre. Più di un milione di palestinesi vivono lì e il loro numero raddoppia a ogni generazione. Vivono ammassati nei campi profughi in povertà e nella disperazione, in focolai di odio crescente senza speranze né orizzonti. È perché siamo forti, non perché siamo deboli, che facciamo questo passo. Abbiamo provato a trovare accordi con i palestinesi per portare i nostri popoli alla pace, ma i nostri tentativi si sono schiantati contro un muro di odio e fanatismo. Il piano di disimpegno unilaterale che ho annunciato due anni fa è la risposta israeliana a questa realtà. Questo piano farà il bene di Israele nel futuro. Noi riduciamo così gli scontri giornalieri e le vittime da entrambe le parti.

L’esercito israeliano si riunirà di nuovo lungo le linee difensive dietro il recinto di sicurezza. Quelli che continueranno a combatterci, incontreranno la piena forza dell’esercito israeliano e delle sue forze di sicurezza. Ora tocca ai palestinesi. Loro devono combattere le organizzazioni terroristiche e smantellare la loro infrastruttura e mostrare intenzioni sincere per ottenere la pace e sedersi con noi al tavolo delle trattative. Il mondo aspetta la risposta palestinese, una mano tesa per la pace o il fuoco del terrore. A una mano tesa noi risponderemo con un ramo d’ulivo, ma risponderemo con durezza al fuoco con il fuoco”.

A distanza di nove anni, nulla è cambiato nella striscia di Gaza. Nonostante i milioni di dollari ricevuti, quei filistei hanno mantenuto i campi profughi per commuovere e dare ai Paesi occidentali il pretesto per inviare loro soldi. In gran parte delle scuole si insegna soprattutto ad odiare l’occupante, ma Israele se ne è andato da tempo e l’unico occupante è l’ideologia del massacro perpetrata da Hamas. I soldi sono serviti ad accumulare un’infinità di missili, che anche se definiti da certa stampa “armi fatte in casa”, non costituiscono un valido pretesto per scagliarli di continuo sulla popolazione vicina. Restano oggetti pericolosi, atti a uccidere chiunque: questo il loro unico scopo.

Gli uomini di Hamas si celano nei numerosissimi cunicoli scavati dalle fondamenta delle loro scuole, ospedali, moschee. Come grossi roditori hanno scavato fin sotto alle terre israeliane. Israele sta tentando di stanarli prima che riescano a entrare e minacciare la popolazione, accedendo nelle case o nei kibbutz, uccidendo donne e bambini, con unico scopo lo sterminio di ogni ebreo ed ogni cristiano. Per questo gran parte dei soldi dati a Hamas sono anche frutto di doni puramente antisemiti.

In un’intervista rilasciata alla televisione araba “Rai News24”, la “ambasciatrice” della Palestina ringrazia pubblicamente la giornalista Lucia Goracci e alcune testate giornalistiche della televisione statale italiana. Una redazione Rai cambia addirittura nome: da “TeleKabul” a “TeleGaza”.

Auguriamoci che se sarà dato un premio alla Goracci, si ricordi del proprio operatore e non come nell’amara storia del premio Alpi che ha ricevuto nel 2011 per un servizio dalla Libia, quando si è dimenticata del “suo” cineoperatore Claudio Rubino, ferito gravemente per realizzare da lì un servizio proprio con lei.

È sempre facile per gli occidentali (venditori di armi) prendersela con Israele e assaltare le sinagoghe. Da sempre si è visto come l’antisemitismo si muova anche istituzionalmente: in Svizzera la Croce Rossa accettò la Mezza Luna Rossa ma per sano razzismo non il Magen David Artom; da Ginevra le Nazioni unite sono sempre pronte a colpevolizzare solo Israele; in Italia si sono svolti i giochi del Mediterraneo e indovinate chi non era stato invitato (nemmeno si fosse geograficamente spostata)?

Tante altre sono purtroppo le azioni ufficiali che hanno condannato la democrazia israeliana, spesso solo per celare i misfatti interni dei paesi europei. D’altronde si conosce l’impotenza del nostro Paese nel combattere le mafie o i gruppi terroristici: se spesso non vi si riesce, ci si allea con essi. L’Europa resta piegata al potere del petrolio e a Gheddafi si era fatto un baciamano ufficiale, per poi dire che ucciderlo è stato giusto, aspettando il rimpiazzo con uno più filo italiano o francese o tedesco.

È risaputo che non fa notizia se un arabo ammazza un arabo e per i media sembrano terminati gli scontri siriani. Ovviamente nessuno è al corrente degli inviti che Israele ha rivolto alla popolazione araba in fuga per curarsi, anche aprendo una frontiera chiusa da quasi 50 anni. Nessuno ricorda poi i soccorsi dati ai musulmani bosniaci durante il drammatico sfascio jugoslavo, andando a prenderli e portandoli in Israele per curarli. Alcuni di loro non sono voluti rientrare e sono diventati cittadini israeliani.

Fra le due parti della Palestina c’è (dal 1948) Israele e Hamas vorrebbe che venisse tolto quel che definiscono un assedio ma che non è che un rafforzamento della propria frontiera. Se Abu Mazen prega per “i fratelli della Palestina”, allora l’Onu dovrebbe condannare assieme ad Hamas e i suoi roditori, anche Abu Mazen e la West Bank per crimini contro l’umanità, per il continuo lancio di missili e massacri perpetrati da infiltrati dai cunicoli. Se attaccato da uno Stato, Israele (non lo Stato ebraico in quanto vi vivono per libera scelta anche degli arabi – cristiani e musulmani – spesso invidiati dai parenti vicini) non dovrebbe rispondere con una minuziosa azione di polizia e con gli avvertimenti alla popolazione, ma con uno stop alle forniture di acqua, luce, gas e alle quotidiane entrate di convogli umanitari (ovviamente mai citate dagli organi di stampa).

Ebbene si cari lettori, i palestinesi residenti in Giudea, in Samaria e nella Striscia di Gaza ricevono energia elettrica gratuita da Israele, dalla Israel Electric Corporation (IEC). Considerato che l’Autorità palestinese e la Striscia di Gaza non hanno centrali elettriche di alcun tipo, l’elettricità viene importata direttamente da Israele senza pagare un centesimo per i loro consumi (…) Ecco cari lettori come Israele calpesta i diritti umani dei palestinesi, regalando loro acqua potabile, curando gratuitamente i palestinesi presso gli ospedali di Israele e donando loro anche l’energia elettrica”.

Lo statuto di Hamas propone la cancellazione dello Stato di Israele e la sua sostituzione con uno Stato islamico palestinese. I roditori fanno parte del Governo ma, nonostante ciò, gli israeliani difendono la popolazione palestinese, autoproclamata, autoeletta e automartoriata, rifornendola di prime necessità e avvertendola che al di sotto del loro salone o del bagno, i loro rappresentanti hanno collocato una base lanciamissili.

Ma loro dicono di non sapere, come per alcuni media cui importa solo il livello dell’audience, come per i tedeschi di settanta anni or sono, che non conoscevano l’esistenza della “soluzione finale”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:46