Lavoro: si spacca   il partito di Hollande

È arrivata la tempesta. La sinistra francese (di lotta e di governo) si spacca sulla riforma del diritto del lavoro. È già finito il tempo dell’ecumenismo (di lotta e di governo) e delle speranze di un mondo migliore promosse dal rapporto Badinter (dal nome dell'ex ministro della giustizia che nel 1981 divenne uno dei principali promotori dell'abolizione della pena di morte in Francia), che aveva invocato una regolamentazione snella ed efficace in grado sia di proteggere i lavoratori, sia di permettere alle imprese di affrontare la rivoluzione digitale e la mondializzazione del commercio. In attesa di essere portato in consiglio dei ministri il prossimo 9 marzo, il progetto di legge El Khomri (dal nome del ministro del lavoro) è già planato sul tavolo del Consiglio di Stato, ed è bastato questo ad aprire la diaspora nel Partito socialista (complice anche un’intervista dello stesso ministro al quotidiano l’Echos che ha ulteriormente riscaldato gli animi). E mentre la popolarità di François Hollande torna ai minimi storici, meno del 20 per cento secondo un sondaggio Ifop per Le Journal du Dimanche, l’ala sinistra del Ps si sente assediata e tradita da un partito accusato di aver ormai venduto anima e corpo al neo liberismo. E anche la parte più riformista del sindacato - leggi Cfdt - si risistema, dopo aver inizialmente accolto con favore il rapporto Badinter, e parla di testo “molto squilibrato” verso le richieste delle imprese, perché di fatto dà più libertà di licenziamento. “Si ha l’impressione che (il progetto di legge, ndr) sia stato scritto dal Medef” (la Confindustria francese, che infatti parla di misure “di buon senso”), dice il Pascal Cherki, della sinistra del Ps. “È una ghigliottina elettorale - aggiunge - a un anno dalle presidenziali. È come se un governo di destra dicesse: ‘Facciamo le 32 ore senza perdita di salario’”.

È innegabile, a sentire gli esperti, che il progetto punti a modificare in profondità il quadro legislativo. La durata legale resta fissata a 35 ore settimanali, come promesso dal governo, ma viene concessa grande flessibilità per adattare la settimana di lavoro alle necessità dell’azienda. Con un accordo tra le parti, infatti, i tempi di lavoro potranno salire a 44-46 ore su un periodo di 16 settimane consecutive. Il tasso minimo di remunerazione delle ore supplementari è mantenuto al 10 per cento, ma anche qui ci si affiderà a un’intesa, che sarà dunque soprattutto al livello aziendale. Le attuali 11 ore consecutive di riposo quotidiano obbligatorio potranno, secondo il progetto El Khomri, essere frazionate, mentre sarà più facile per un collaboratore passare a un regime forfettario giornaliero soprattutto nelle Pmi con meno di 50 dipendenti.

Il testo prevede meno rigidità per il licenziamento economico, precisandone la definizione e allargandone la casistica. Il datore di lavoro potrà infatti giustificare la fine del rapporto di lavoro con due nuove situazioni: “una riorganizzazione necessaria alla salvaguardia dell’impresa” e una difficoltà economica, che nello specifico significa “una riduzione degli ordini o delle cifre d’affari per parecchi trimestri consecutivi nel confronto con gli stessi periodi dell’anno precedente”, “perdite operative per parecchi mesi” e “perdite di denaro”. Le indennità a favore del lavoratore in caso di colpa del datore saranno fissate in base all’anzianità del dipendente. Il plafond sarà di 3 mesi di salario per un dipendente impiegato da meno di 2 anni, di 6 mesi per un’anzianità tra 2 e 5 anni, di 9 mesi per un’anzianità tra 10 e 20 anni, e di 15 mesi oltre i 20 anni. Il nuovo diritto del lavoro introduce i referendum in azienda, nel caso in cui un accordo non è sostenuto dalla maggioranza dei sindacati. Le organizzazioni del lavoro rappresentanti almeno il 30 per cento dei lavoratori potranno infatti richiedere ai dipendenti dell’azienda di pronunciarsi direttamente. Il contratto di lavoro sarà poi modulato sulla congiuntura. Se un’impresa in cerca di nuove nicchie di mercato ha bisogno di far lavorare di più i suoi dipendenti, si legge nelle bozze del progetto di legge, potrà imporre loro un nuovo ritmo di produzione. E se un dipendente rifiuta i cambiamenti inseriti nel suo contratto, potrà essere licenziato per giusta causa, senza dover passare per il licenziamento economico.

Se Cgt e FO, i due sindacati storicamente più antagonisti, sono nettamente all’opposizione di una riforma che secondo il primo ministro Manuel Valls fa entrare il diritto del lavoro francese “nel XXI secolo”, gli umori della Cfdt, come si accennava, sono ora un po’ più sfumati. Tre almeno le misure contestate dalla Confederation française democratique du travail: il limite delle indennità, il forfait giornaliero nelle Pmi con meno di 50 dipendenti e licenziamenti economici più facili (e su quest’ultimo punto molti notabili del Ps chiedono che l’articolo venga cancellato e riscritto). “C’è uno squilibrio tra flessibilità e sicurezza”, afferma il segretario generale della Cfdt, Laurent Berger, “e soprattutto c’è una visione un po’ troppo dogmatica della flessibilità che per il mio sindacato è totalmente negativa”. Il livello fissato delle indennità, prosegue Berger, “è scandaloso e inaccettabile”, mentre la norma che rende più facile i licenziamenti economici “è stata inserita all’ultimo momento: evidentemente il governo ha ceduto alle idee liberiste più inverosimili degli imprenditori. Su questo c’è disaccordo totale”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:04