Elezioni Usa: la distinzione “posticcia” tra buoni e cattivi

A voler essere estremamente sinceri, non abbiamo seguito con grande pathos le elezioni americane. Ciò soprattutto per lo spessore dei candidati: Donald Trump non era certo Ronald Reagan e quel simpatico vecchietto che ha vinto, Joe Biden, come previsto ha già ceduto lo scettro alla sua vice Kamala Harris, non era certo John Fitzgerald Kennedy. Due candidati modesti riescono ad attrarre una modesta attenzione. L’unico elemento capace di ravvivare una roba assimilabile al Festival di Sanremo è stato il testa a testa fino all’ultimo voto. Festival di Sanremo dicevamo: hanno vinto i Jalisse ossia la coppia Biden-Harris, un duo “nato morto” (come l’originale) visto che ben presto si è compreso quanto l’attempato “sleepy Joe” fosse un candidato di facciata messo per tirare la volata alla signora Harris. Quello che verrà dopo è ampiamente prevedibile: dei presunti brogli democratici non si troverà traccia, il tandem democratico si insedierà alla Casa Bianca (ma sarà un mono-sella) e riprenderà quella politica di aggressività internazionale e lassismo assistenziale interno che fu di Barack Obama uno dei presidenti più guerrafondai degli ultimi anni (premio Nobel per la Pace, sigh!).

Di Donald Trump e dei suoi risultati economici (questione di fortuna? Sicuramente) non si ricorderà nessuno così come del fatto che sia stato uno dei pochi inquilini della Casa Bianca a non “esportare la democrazia” a suon di bombe.

Donald Trump, dal punto di vista personale e politico, ha sicuramente restituito una pessima immagine di sé, mitigata tuttavia dal livore con il quale quel santuario democratico mondiale – che va dalla politica all’informazione – lo ha screditato (a volte a sproposito) narrando con malcelata civetteria la storia del cattivo magnate che si contrappone all’umile idealista della Pennsylvania che anela alla cadrega di presidente per fare degli Stati Uniti un mondo migliore. Ovvio, come del resto Obama, Bill e Hillary Clinton e via falsificando la storia recente.

La favoletta delle truppe del bene contrapposte all’impero del male inizia sempre allo stesso modo in ogni angolo del mondo dove ci sia una elezione e la propaganda continua incessantemente, fino a che l’usurpatore di destra non lascia il posto al governante naturale, ossia l’illuminato contendente progressista. Da quel momento il giornalismo di denuncia, i problemi e gli scandali spariscono lasciando il posto allo zucchero filato, ai fiori nei cannoni e alla faziosità puerile di una sinistra mai cresciuta secondo la quale “il pallone è suo” e se lo porta via se il popolo non la lascia giocare al governo. Quel testa a testa negli Usa è stato proprio il simbolo di una propaganda, quella socialista, che non funziona più, di una distinzione posticcia tra buoni e cattivi che non fa più presa su una massa che è cresciuta e si è affrancata da certi giochetti. Il volto funereo dei commentatori che la notte delle elezioni sputavano fiele alla volta dei dati elettorali sentendosi buggerati da quel popolo ignorante che non li aveva seguiti era tutto un programma. Dimostrava che i buoni e i cattivi, i democratici e i prepotenti esistono. Solo che i buoni non sono loro.

Aggiornato il 12 novembre 2020 alle ore 10:10