I perbenisti e la smania per Kamala Harris

Non si comprende tutta questa eccitazione intorno a Kamala Harris. Tutta questa smania posticcia, costruita a tavolino, preventiva. È il chiaro segno di un brutto episodio di razzismo al contrario, quella classica manfrina politically correct che ambisce a creare un personaggio che deve essere amato, apprezzato, venerato, ritenuto capace prima ancora che proferisca verbo.

A quelli non più giovani, tutti questi salamelecchi intorno alla vicepresidente in pectore dovrebbero ricordare la bellissima gag che Gianfranco D’Angelo era solito mettere in scena nella trasmissione anni Ottanta “Drive In”. D’Angelo, nella parte del signor Armando, si presentava con un cocker completamente sedentario di nome Has Fidanken. L’eccentrico personaggio esaltava le doti acrobatiche del cane, che voleva spacciare per iperattivo anche se restava fermo come un sasso a fissare sornione il pubblico, nonostante il domatore urlasse costantemente il suo nome incitandolo. Mutatis mutandis, il mainstream sta facendo la stessa cosa con Kamala Harris, esaltandola prima ancora che dica qualcosa di eccezionale (poi sicuramente questa cosa eccezionale la dirà davvero prima o poi).

Ammettetelo, perbenisti. Ditelo chiaramente che “scodinzolate” intorno a Kamala solo perché è donna, figlia di immigrati e calza perfettamente con la vostra narrazione buonista. Se volete farle un piacere, non trattatela come un panda allo zoo perché, facendo questa distinzione/elogio razziale e di genere, non le rendete un buon servigio. E non rendete nemmeno un buon servigio alla causa delle discriminazioni, le quali sono problema ben più serio di queste macchiette grottesche. Comprendiamo quanto la pulsione ideologica possa giocare brutti scherzi ma tra il ridicolo e la convinta militanza, tra Indro Montanelli ed Emilio Fede, tra Sandro Curzi e Michele Santoro, il passo è veramente breve.

Aggiornato il 13 novembre 2020 alle ore 09:50