A Cuba qualcosa si muove

L’11 settembre prossimo ci ricorderà come siano già trascorsi vent’anni esatti dal terribile attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York, ma ci rinfrescherà la memoria anche sul fatto che questo ultimo ventennio sia stato piuttosto turbolento per gran parte del mondo.

Dopo il World Trade Center una lunga scia di sangue, tracciata dal terrorismo islamico, ha stravolto l’esistenza di tante comunità, dall’America all’Europa, e sui fronti di guerra iracheno, afghano e siriano. Poi è giunta la crisi economica globale che non ha risparmiato quasi nessuno nel pianeta e, successivamente, l’odierno e balordo Covid.

Non possiamo dimenticare neppure le Primavere arabe, la repressione cinese ad Hong Kong e la sacrosanta ribellione dei cittadini della ex-colonia britannica, la crisi venezuelana tuttora irrisolta e infine il malcontento popolare diffusosi tanto negli Usa quanto in Europa verso gli establishment dominanti, il quale ha reso possibili la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti e le affermazioni elettorali dei partiti cosiddetti sovranisti nel Vecchio Continente, oltre a trasformare in realtà l’uscita del Regno Unito dalla Unione europea.

Insomma, abbiamo assistito negli ultimi vent’anni a degli accadimenti di notevole impatto storico, ma vi sono Paesi che non sono mai stati toccati dalle principali tensioni globali, hanno vissuto in relativa tranquillità senza sommovimenti nei palazzi del potere e proteste di piazza, e sono sempre rimasti uguali a loro stessi, nel bene e anche nel male. Uno di questi è senz’altro Cuba.

L’isola caraibica è governata da una dittatura comunista fin dal 1959, anno della presa del potere da parte di Fidel Castro e dei suoi “barbudos”. Un regime che è riuscito a superare il crollo del socialismo reale e dell’Unione Sovietica, e non ha ritenuto nemmeno di doversi aprire al mercato internazionale come invece è stato fatto dai comunisti cinesi.

Vi è stato il lungo dominio di Fidel Castro e dopo la morte del lider maximo è subentrato alla presidenza della Repubblica socialista il fratello Raúl, sostituito poi dall’attuale presidente Miguel Mario Díaz-Canel. Ma la sostanza della dittatura comunista imposta nel 1959 non è mai cambiata, a parte qualche timido cambiamento invocato da Raúl Castro e la popolazione, almeno negli ultimi trent’anni, è parsa disponibile ad accettare tutto in sostanziale tranquillità.

Coloro i quali, fuori dai confini cubani, ancora simpatizzano per la rivoluzione castrista e la dipingono tutt’oggi come un qualcosa di eroico e di romantico, diverso dalle tetre dittature rosse dell’Est Europa, descrivono i cubani come un popolo felice e sereno. Chi conosce un po’ le genti dell’area caraibica e dell’America Latina in generale, sa perfettamente che in quelle latitudini le persone, complici anche il mare e il clima, sanno sfruttare la vita talvolta meglio rispetto agli europei e ai nordamericani, pur avendo molto meno.

Ma una certa predisposizione positiva degli abitanti di Cuba o di altri popoli latinoamericani non significa affatto adesione cieca a un regime liberticida come quello costruito da Fidel Castro. I nodi stanno venendo al pettine proprio in questi giorni attraverso le imponenti proteste di piazza avvenute a L’Avana e in altre città dell’isola. Il presidente cubano Diaz-Canel eviti di aggrapparsi alla teoria del complotto americano, che torna sempre utile alla propaganda ideologica di regimi come quello castrista o quello venezuelano di Nicolás Maduro, perché le dimostrazioni di queste ore rappresentano null’altro che la stanchezza e la rabbia di un popolo affamato nei confronti di una tirannia che ha fatto il suo tempo.

Aggiornato il 14 luglio 2021 alle ore 10:19