L’esportazione della democrazia non c’entra con l’inettitudine di Biden

Il ritiro americano dall’Afghanistan, voluto e gestito in maniera disastrosa da Joe Biden, e tutto ciò che ne sta conseguendo, hanno riportato in auge il dibattito globale sulla cosiddetta esportazione della democrazia. Come la Storia ci insegna, gli Stati Uniti d’America, dalla Seconda guerra mondiale e passando attraverso la lunga contrapposizione fra il blocco occidentale e quello comunista e sovietico, hanno sempre rivestito un ruolo particolare nel mondo. Ma è stato posto l’accento sulla necessità, da parte occidentale, di instaurare sistemi liberi e democratici in quelle aree del pianeta ostaggio di tirannie sia laiche che religiose in particolare dal 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York e all’inizio delle operazioni militari della Nato in Afghanistan.

Era, in buona sostanza, la dottrina Bush, dell’allora presidente Usa George Walker Bush e del movimento dei neocon, i neoconservatori animati anche da ex-liberal radunatisi attorno al bisogno di sicurezza e libertà degli Stati Uniti e dell’Occidente, feriti dal terrorismo islamico. Un approccio, quello di Bush e dei neocon, che fu all’epoca oggetto di numerose discussioni e di non poche critiche, ma che non c’entra nulla con gli accadimenti odierni all’interno dell’Afghanistan. Se in quello sfortunato Paese sono ritornati, con una facilità sorprendente, i talebani, sono riprese pertanto le persecuzioni e le esecuzioni sommarie, e gli afghani preferiscono rischiare la morte piuttosto che rimanere sotto il tallone degli integralisti, le colpe non vanno ricercate nell’America di Bush, colpita al cuore l’11 settembre 2001 da terroristi protetti proprio dai talebani afghani, che decise di entrare in Afghanistan, bensì in quella di Joe Biden che ha scelto di uscirne nella maniera più maldestra possibile.

Rimane da capire se questo presidente americano sia troppo incapace o troppo cinico. Ci può essere stata una apertura di credito drammaticamente ingenua nei confronti dei talebani, magari artefici di promesse disattese un secondo dopo. Oppure, potremmo essere in presenza del cinismo di un presidente che in realtà se ne infischia del destino degli afghani, degli alleati della Nato e persino della onorabilità delle stesse Forze Armate americane. Chi, anche all’interno dell’Occidente, non ha mai gradito il protagonismo a stelle e strisce nel mondo, insieme agli antagonisti degli Usa come Russia e Cina, oggi sottolinea compiaciuto come il disastro afghano simboleggi il fallimento dell’esportazione della democrazia.

Esportare la libertà è un esercizio molto difficile e in alcune aree del mondo quasi impraticabile, ma non per questo occorre arrendersi a uno scenario di democrazie vili che rimangono immobili di fronte a terrorismi e dittature. Ciò che viene abbandonato dall’America e dall’Occidente non rimane a lungo terra di nessuno, bensì cade immediatamente fra le braccia di qualcun altro che può essere ben peggiore delle pur imperfette democrazie del globo.

Aggiornato il 25 agosto 2021 alle ore 15:13