Jafar Panahi è libero. Il maestro del cinema iraniano, già premiato nel 2000 con il Leone d’Oro, per il film Il cerchio (The circle) alla 57ª Mostra del cinema di Venezia, è stato rilasciato ieri dopo quasi sette mesi di prigionia. Il regista aveva contestato il regime degli ayatollah anche dal carcere, annunciando lo sciopero della fame. Panahi è stato liberato su cauzione e ha potuto lasciare il carcere Evin di Teheran. Il regista è stato perseguitato dalla Repubblica Islamica finendo più volte in prigione per le sue posizioni politiche espresse con la sua attività artistica. Era stato messo in custodia l’11 luglio dopo essersi recato alla prigione di Teheran per chiedere informazioni su Mohammad Rasoulof e Mostafa Al-Ahmad, altri due registi che erano stati arrestati nei giorni precedenti dopo avere criticato il governo iraniano. Trattenuto per scontare una condanna risalente al 2010 per “propaganda contro il sistema”, a causa di un documentario sulle proteste esplose in seguito alla rielezione del presidente Mahmoud Ahmadinejad, Panahi, che ieri aveva annunciato di entrate in sciopero della fame, ha ricevuto dal tribunale il via libera al rilascio su cauzione ma la sentenza potrà comunque essere confermata dalla Corte d’appello.

Nessuno spiraglio di uscita invece per Farhad Meisami, 53 anni, di cui gli ultimi 5 trascorsi in cella, sempre a Evin. È un medico e attivista da sempre schierato contro il velo in pubblico per le donne. L’uomo rifiuta il cibo da ottobre scorso in segno di solidarietà alle proteste anti governative iniziate da oltre quattro mesi e che ancora scuotono il Paese. Dal famigerato penitenziario iraniano rimbalzano le sue foto scioccanti. Il suo volto emaciato, il corpo magrissimo con la pelle tesa sul petto che mostra nitidamente lo sterno, testimoniano gli oltre quattro mesi di sciopero della fame che Meisami porta avanti anche per contestare le condanne a morte, di cui quattro già eseguite, emesse contro molti manifestanti arrestati nelle proteste esplose dopo la morte di Mahsa Amini. L’abolizione dell’obbligo a portare l’hijab imposto alle donne, in vigore dalla fondazione della Repubblica Islamica nel 1979, è stata una delle battaglie per i diritti umani che Meisami ha portato avanti per molti anni quando era libero. Dopo la laurea in medicina, ha scelto la carriera di insegnante nelle scuole superiori ma ha poi deciso di abbandonare la carriera per dedicare la sua vita all’attivismo per i diritti umani in Iran, promuovendo iniziative non violente per l’abolizione dell’obbligo sul velo. L’arresto risale al luglio del 2018 e anche all’epoca decise di protestare contro la sua detenzione con uno sciopero della fame, riuscendo ad annunciarlo pubblicamente soltanto dopo 19 giorni recluso in isolamento. Nonostante l’appello per il rilascio immediato da parte di Amnesty International, a dicembre del 2018 è stato condannato a 5 anni di reclusione per “propaganda contro il sistema” e “cospirazione per commettere crimini contro la sicurezza nazionale”, sentenza confermata anche l’anno successivo dalla Corte d’appello. Le fotografie dell’attivista ormai ridotto ad uno scheletro, ottenute e pubblicate da Bbc Persian, hanno suscitato indignazione a livello internazionale e sono state definite “scioccanti” dall’’inviato degli Usa per l’Iran Robert Malley. “Il regime dell’Iran ha ingiustamente negato a lui e ad altre migliaia di prigionieri politici i loro diritti e le loro libertà, ora minaccia ingiustamente la sua vita”, ha scritto il funzionario del governo Usa.

(*) Nella foto in alto è ritratto il regista Jafar Panahi con il Leone d’Oro, vinto nel 2000 per il film Il cerchio (The circle), alla 57ª Mostra del cinema di Venezia.

(**) Nella foto in basso, Jafar Panahi è ritratto in auto, con la moglie, fuori dal carcere di Evin, a Teheran.

Aggiornato il 04 febbraio 2023 alle ore 12:54