Ue, superare i danni   del patto di stabilità

Dall’introduzione dell’euro a oggi, per un arco di quindici anni, sono stati in vigore nell’Unione europea il Trattato di Maastricht (1993), il Trattato di Amsterdam (1999) e il Trattato di Lisbona (2009). Al posto di tali Trattati, tuttavia, è stata imposta l’applicazione e l’osservanza del Regolamento europeo del 1997 (autore il ministro tedesco delle Finanze Theo Waigel, avallato da Carlo Azeglio Ciampi per parte italiana) e di due Regolamenti europei successivi – del 2005 e del 2011 – nonché del Fiscal compact, atto anomalo autoqualificatosi Trattato di diritto internazionale.

Mentre la disciplina dei tre Trattati è stata – ed è – incentrata sull’obiettivo della crescita degli Stati membri, i quali avrebbero dovuto realizzarlo avvalendosi ciascuno della propria politica economica e della capacità di indebitamento regolamentata, il Regolamento del 1997 e quelli successivi hanno introdotto un Patto di stabilità e crescita (Psc). In pratica, all’obiettivo della crescita hanno sostituito il risultato della parità del bilancio a medio termine quale obbligo per tutti gli Stati membri.

Con l’attuazione delle disposizioni dei Trattati, l’Unione sarebbe divenuta l’espressione di una collettività di circa cinquecento milioni di abitanti che, per popolazione, si sarebbe collocata nel mondo al terzo posto dopo la Cina e l’India (sarebbe stata per ricchezza pari agli Stati Uniti). Invece il Patto di stabilità e crescita ha imposto agli Stati membri, con efficacia retroattiva, l’obbligatoria parità del bilancio a medio termine.

Il Patto non ha consentito di produrre alcun sviluppo e le statistiche relative all’andamento del Pil nei tre principali Paesi dell’Eurozona lo hanno palesato con i loro bassi tassi di crescita. Con l’obbligo della parità del bilancio, in sostanza, gli Stati membri sono stati privati del potere di adottare ciascuno una propria politica economica e sono rimasti assoggettati a un obbligo, quello della parità del bilancio, fissato direttamente dal Regolamento e ‘impiccati’ a un percorso fissato Stato per Stato dalla Commissione, dal Consiglio e dal Comitato economico e sociale europei.

Dopo quindici anni di mancata applicazione dei Trattati, gli effetti prodotti dall’applicazione del Regolamento sono il numero dei disoccupati, i giovani ancora in cerca del primo lavoro, le piccole e medie imprese costrette a chiudere, le strutture private e pubbliche non completate, distrutte o in condizioni di degrado, i suicidi di imprenditori e lavoratori.È bene ricordare che il valore del tre per cento e del sessanta per cento del Pil, giuridicamente, non sono mai esistiti quali limiti all’indebitamento e al debito degli Stati membri; sono stati valori di riferimento che i Trattati hanno tenuto presenti nel regolare la materia del debito e dell’indebitamento, essendo la disciplina da applicarsi unicamente a quella dettata dall’articolo 104 del Trattato di Maastricht (oggi articolo 126) del Trattato di Lisbona.

Non esistendo più la possibilità in capo ai Governi di decidere autonomamente la propria politica economica, il Regolamento del’97 e quelli successivi hanno posto fine al regime democratico, di cui gli Stati europei rappresentavano la principale espressione al mondo, allo stesso vincolati da norme costituzionali interne, condizione necessaria per essere ammessi all’Unione e alla zona euro. E i titolari dei poteri di vertice – nazionali o europei – hanno lottato e lottano oggi per un potere di governo che non esiste. Con l’assegnazione autoritaria dei compiti, il Patto di stabilità e crescita ha colpito al cuore il progetto che i Paesi fondatori erano riusciti a mettere a punto. Adesso è necessario che l’Unione europea punti all’unione politica, perché in questo modo la garanzia del debito è data dalla capacità di produrre crescita, espressa dal sistema nel suo insieme.

È opportuno ricordare che gli Stati americani confederati, all’atto di diventare una Federazione, avevano un debito elevato e proprio la Federazione estese il suo dominio ad aree vastissime. Anche l’Unione europea contiene aree che potrebbero essere valorizzate, mentre oggi il territorio è colmo di macerie e le capacità produttive, nel complesso, sono sottoutilizzate. In sintesi, il governo politico dell’Unione europea avrebbe mezzi e strumenti per avviare un processo virtuoso di sviluppo.

(*) Avvocato

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:18