Si governa coi fatti non con gli slogan

Che le balle del bluffista fiorentino abbiano cominciato a far aprire gli occhi all’opinione pubblica è ormai un dato incontrovertibile e difficilmente contestabile, anche perché non si vive solo di annunci, promesse o belle parole quando la crisi ti morde pesantemente e le ultime speranze di ripresa del Paese, che l’illusionista toscano aveva acceso, svaniscono come svaniscono tutti i sogni all’alba. L’amaro in bocca che rimane è più forte e deleterio di quanto si potesse pensare per la stessa democrazia italiana.

E’ un amaro più acre di quello sparso dallo stesso Grillo. Anche perché l’avvicendamento di tre diversi governi come quello di Monti (il Fenomeno), quello di Letta (l’Insignificante) e quello di Renzi (il Vanni Marchi della politica), tutti presentati come ‘salvatori della Patria’, e tutti al capezzale dell’ammalato Italia senza alcuna soluzione di continuità. Tutte e tre, comunque, hanno affrontato la crisi con la segreta speranza che il tempo avrebbe potuto aiutarli. A loro bastava raccogliere la fine della recessione per intestarsi il merito mettendoci sopra il proprio cappello.

Monti, dopo il Salva e Cresci Italia (parole magiche per tacitare i pessimisti e per addolcire la stretta fiscale), dichiarava un giorno si e l’altro pure, di vedere la luce in fondo al tunnel. Anche se era l’unico a vederla invitava a fidarsi e pazientare perché l’Italia era al giro di boa, parola del più tedesco degli italiani. E proprio perché era il più tedesco degli italiani eseguiva i compiti a casa e bloccava, tra l’altro, uno di quei lavori che potevano diventare un vero e proprio grimaldello per la fuoruscita dalla crisi qual’era il Ponte sullo Stretto, incurante delle penali che gli italiani sarebbero stati costretti a sborsare negli anni successivi e del disdoro internazionale che sarebbe calato sul Paese considerato inaffidabile per aver annullato un regolare appalto.

Letta non è stato da meno: tasse, tasse e soltanto tasse. Anche lui, pur senza loden, ha tirato a campare evitando di guastare i propri riferimenti europei e, in una logica di continuità, ha indorato le pillole dell’austerità con ‘Impegno Italia’ e ‘Destinazione Italia’ che non hanno lasciato alcuna traccia positiva, mentre il lunghissimo elenco di cose da fare, sciorinato durante una lunghissima conferenza stampa, sembra essere stato lasciato a futura memoria. Anch’esso un bluff che però durò poco non avendo la capacità comunicativa del Vanni Marchi della politica che aveva capito che non era poi tanto difficile ‘governare’ alla luce delle due precedenti esperienze. Renzi si convinse così che poteva accelerare i tempi del passaggio di mano liquidando facilmente Letta con il famoso #staiserenoenrico e accreditatosi come nuovo salvatore della patria.

Partì in quarta il rottamatore. Con i famosi 80 euro da dare a 10 milioni di italiani (l’avesse fatto Berlusconi si sarebbero mosse decine di procure per il reato di voto di scambio), con la dichiarazione che avrebbe fatto una riforma al mese (erano vicine le elezioni europee e doveva superare lo scoglio per tacitare l’opposizione interna), e con un qualunquismo becero (l’esempio più eclatante fu la dichiarazione, all’indomani dell’abolizione delle province) col quale poté dichiarare “che erano stati cancellati gli stipendi di 3000 politici con un grande risparmio”, dimenticandosi, però, che il risparmio era misero dato che 60.000 dipendenti non potevano essere mandati a casa.

Intanto quel poco che ha fatto lo ha fatto per il sostegno di Berlusconi che è riuscito a neutralizzare i franchi tiratori della sinistra. Ma ora si è arrivati al redde rationem e non si può più bluffare. Bisogna abbandonare i giochetti come la riforma dell’Europa e, tra poco, anche quella dell’Onu, per dedicarsi interamente al nostro Paese che non può aspettare la fine dei famosi 1000 giorni (pari a circa tre anni) per sapere se si vedrà la lucetta in fondo al tunnel o precipiteremo nel baratro.

Lavoro, riforme costituzionali, giustizia, alleggerimento fiscale, crescita e legge elettorale, se non sono solo titoli, sicuramente troveranno la disponibilità di Forza Italia perché (si convinca il baldo giovinetto fiorentino) si governa con i fatti e non con le belle parole che normalmente servono solo a imbrogliare la gente e non a trasformare il Paese. Deve però convincersi che, sui singoli problemi, è necessario individuare col Cavaliere i punti di mediazione dato che anche l’ex premier vuole cambiare fortemente il Paese per portarlo al livello delle altre democrazie occidentali. In parole semplici va rimarcato che solo col coraggio dei due sarà possibile cambiare il Paese e uscire dalla crisi. Se invece pensa di andare avanti come ha fatto finora, nell’interesse dell’Italia, è opportuno che il loro ‘matrimonio’ venga sciolto definitivamente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:13