La libertà energetica

L’Italia non possiede grandi risorse energetiche: i giacimenti di petrolio e di carbon fossile sono limitati e gli approvvigionamenti sono garantiti da forti flussi d’importazione. Anche le altre materie prime per la produzione industriale sono per la maggior parte importate.

E’ pur vero che il nostro grande vanto è rappresentato dall’esportazione di tecnologie, ma queste non possono essere realizzate senza un' indipendenza energetica. Superata la lunga fase di crisi si tentò di porre rimedio alla dipendenza energetica sviluppando le ricerche soprattutto sulle fonti alternative al petrolio. In pochi anni, ad esempio, la Francia, la Gran Bretagna e l’allora Rft (Repubblica Federale Tedesca) crearono reti nazionali di centrali nucleari. Contemporaneamente, nella seconda metà degli anni Settanta, furono localizzati e subito sfruttati intensivamente alcuni giacimenti petroliferi nel Mare del Nord.

La sottomissione energetica venne alla luce in tutta la sua drammaticità -e non solo per il nostro Paese- nel 1973, all’indomani della guerra arabo-israeliana, meglio conosciuta come guerra del Kippur. In quell’occasione, i Paesi arabi produttori di petrolio decisero per ritorsione l’embargo, cioè “chiusero i rubinetti” delle esportazioni di petrolio ai Paesi europei ed al Giappone. I risultati furono devastanti: l’economia globale fu paralizzata, l’inflazione cominciò a salire pericolosamente, l’espansione industriale si ridusse, aumentò vertiginosamente il tasso di disoccupazione. Si intende premettere come tutte le fonti di energia meritino rispetto e considerazione e di come sia imprescindibile rispettare alcuni principi impostati alla logica e quindi alla realtà. La nostra fonte energetica di riferimento deve essere: sicura, pulita, economica, massiva e poco invasiva e orientata alla diversificazione. Principi, questi, che si adattano perfettamente all’energia nucleare. Non è possibile sostenere una fonte energetica per motivi ideologici, denigrando e contestando le altre con presupposti che risultano chiaramente inventati e antiscientifici, arrivando a costruire situazioni molto lontani dalla realtà-verità. Per esempio le rinnovabili come il solare e l’eolico sono fonti energetiche incostanti, a bassa densità, antieconomiche e invasive. Certo anch’esse possono essere sviluppate, tenendo conto però che non possono sostenere una nazione industrializzata, poggiata sui combustibili fossili e sull’energia nucleare. Sono fonti energetiche leggermente integrative il cui compito è quello di farci poco risparmiare in combustibile fossile, anche se a caro prezzo.so di disoccupazione.

Mentre tutti gli altri paesi europei ad industrializzazione più avanzata si sono progressivamente attrezzati per acquistare autonomia energetica, l’Italia è praticamente “rimasta al palo”, continuando a restare debitrice di materie prime dall’estero con enormi costi per la collettività. Il nostro Paese ha scelto il “non nucleare” a seguito dell’apposito referendum svoltosi il 9 novembre 1987, all’indomani dell’indimenticabile disastro della centrale russa di Chernobyl, ma da quella data ad oggi le ricerche in materia di sfruttamento di fonti energetiche alternative (perfezionamento delle centrali idroelettriche e di quelle funzionanti a gas naturale sole, vento) non hanno fatto molti progressi. Il deficit energetico italiano è passato dagli 0,879 Gwh (milioni di chilowattora) del 1973 agli attuali 42.377 Gwh e tende ad aumentare. Peraltro, su una complessiva necessità nazionale di 55.250 Mw (megawatt) la capacità d’importazione è pari a 6.300 Mw.

E’ giunto il momento delle scelte: l’Italia si decida a percorrere la strada più agevole ed economica e con limitati rischi ambientali con una specifica prospettiva nel medio e soprattutto nel lungo periodo unita ad una riorganizzazione complessiva della gestione e della distribuzione energetica che vede tuttora coinvolti troppi Enti. L’assunzione di precise disposizioni è resa urgente anche dalla considerazione che il nostro Paese è pienamente inserito in un contesto economico europeo e perciò, non può correre il rischio di un ulteriore rallentamento dell’economia che, inevitabilmente lo collocherebbe in posizioni assolutamente di secondo piano in un quadro internazionale.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:51