La fine del giornalismo   dietro la crisi dell’Ansa

Tra breve non ci saranno più giornalisti da mettere in carcere per diffamazione a mezzo stampa. Dopo il via libera della Camera dei deputati, il testo è tornato al Senato per il quarto passaggio parlamentare. Un parto laborioso, un percorso pieno di trabocchetti, tentativi di imbrigliare quello che una volta veniva chiamato il Quarto Potere.

Vengono introdotte modifiche alla legge base del 1948, al Codice penale e a quello di procedura penale, al Codice civile ed a quello di procedura civile. Scompare la pena del carcere per i giornalisti condannati per diffamazione ma crescono le pene pecuniarie e il risarcimento del danno sarà quantificato in base alla diffusione e alla rilevanza della testata, comprese quelle online e radiotelevisive. Tanto tempo per essere insoddisfatti. “La cancellazione del carcere dei giornalisti è un passo avanti - ha osservato il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso - ma restano molte criticità a partire dall’obbligo di rettifica senza risposta e commento”.

E questo mentre il mondo dell’editoria in crisi si avvia a fare sempre più a meno dei giornalisti. Un assurdo nel momento in cui si riconosce la necessità di puntare sul giornalismo di qualità, di garantire ai lettori un’alta professionalità contro le “bufale” crescenti della Rete, di assicurare un profondo rapporto fiduciario con chi compera il quotidiano o il settimanale, la rivista o con chi si mette davanti ad un televisore, ascolta le notizie via radio o infine con chi si collega con un sito on-line. Il giornalismo è il sale della democrazia, il cane da guardia del pluralismo e della diversità di opinioni. “Mai servo di nessuno”, insegnava Indro Montanelli. Il campo d’azione, però, si restringe sempre di più. I giornalisti in attività sono sempre di meno e gli editori con la scusa delle ristrutturazioni tagliano gli organici, presentano piani industriali in cui la prima voce di riduzione dei costi è sempre il salario dei dipendenti.

In questi giorni la massima agenzia di stampa italiana, l’Ansa (il primo numero risale al 15 gennaio 1945, distribuito a mano da un fattorino, erede della Stefani) è in sciopero. La mobilitazione è scattata quando è stato presentato dai vertici il piano industriale che prevede 65 esuberi da gestire dal primo luglio con ricorso alla cassa integrazione o ai contratti di solidarietà. È la risposta peggiore che un’azienda come l’Ansa poteva dare alle previsioni di bilancio per il 2015, che provvederebbero un passivo di 5 milioni di euro. Un dato economico che non autorizza alcuna azienda a procedere ad un così massiccio taglio degli organici che hanno sempre assicurato un’alta professionalità diffusa sul territorio, un prestigio e un’autorevolezza derivanti dalla qualità dell’informazione diffusa.

L’Ansa, giuridicamente, è una società cooperativa privata tra oltre 50 quotidiani e costituisce uno strumento d’informazione essenziale per la società italiana e anche per la comunità internazionale. È tra le principali agenzie del mondo. All’estero ci sono una settantina di uffici. Il no fermo al piano di tagli presentato dall’azienda è stato ribadito da varie assemblee di redazione e l’intenzione è di andare avanti nella mobilitazione. I sindacati contestano il fatto che l’azienda non può ricorrere a nuovi e invasivi ammortizzatori sociali dopo aver disatteso gli impegni sottoscritti negli accordi sindacali per il precedente stato di crisi.

Sul piano delle responsabilità di quanto sta accadendo nel settore dell’editoria il componente della Giunta Fnsi, Carlo Parisi, mette anche il governo che accusa di “atteggiamento irresponsabile in un mercato editoriale devastato dalla crisi”. In nome della spending review il Governo, ha sottolineato il sindacalista, “non può continuare a falciare contributi, pubblicità istituzionale, abbonamenti ai giornali e alle agenzie di stampa favorendo di fatto il proliferare di aziende pirata che sono causa di concorrenza sleale. Non può altresì continuare a destinare le poche risorse disponibili senza pretendere i Durc di correttezza contributiva ma anche retributiva”.

Anche i giornalisti della “Provincia Pavese” lottano contro le decisioni aziendali di non sostituire due giornalisti che vanno in pensione e di chiudere le redazioni distaccate di Vigevano e Voghera nonostante i conti in attivo. Chiude invece definitivamente dopo vent’anni di attività il “Sannio quotidiano”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29