Le riforme di Renzi e tutti i loro limiti

È naturale e perfino ovvio chiedersi e interrogarsi in che modo e maniera muterà la geografia istituzionale del nostro sistema politico e democratico, qualora fossero approvate le riforme istituzionali sostenute dal Governo Renzi. Come ha osservato uno studioso di grande valore nei giorni scorsi sul Corriere della Sera, il giurista e costituzionalista Michele Ainis, una volta approvate in modo definitivo le riforme istituzionali comporteranno una mutazione profonda e radicale degli equilibri istituzionali e del sistema politico, di quello sociale e di quello economico.

Non vi è campo e aspetto significativo della vita pubblica e dello Stato su cui il Governo, in oltre un anno di attività istituzionale, non sia intervenuto, spesso con la volontà proclamata di innovare, riformare, cambiare, in modo da restituire efficienza al nostro Paese, rendendolo competitivo, in tal modo, nell’Era della globalizzazione finanziaria. Dalla Pubblica amministrazione alla Scuola, dalla Rai alle Prefetture e Province, dalle Camere di commercio agli enti intermedi, l’Esecutivo, con un metodo ispirato ad un decisionismo smisurato e spesso velleitario, ha posto in essere azioni riformatrici di diverso tipo e genere. Per le riforme istituzionali, dopo anni di discussioni accademiche e sterili, finalmente si è riusciti ad approvare una nuova legge elettorale ed a rendere possibile, se la riforma verrà approvata dopo la pausa estiva (ad ottobre), il superamento del bicameralismo perfetto ed a rivedere profondamente il Titolo V della Costituzione, per ridefinire le competenze delle Regioni.

In particolare, su questa materia attualmente in discussione in Parlamento che riguarda la modifica del bicameralismo perfetto e la nuova configurazione che dovrà assumere il Senato della Repubblica, si è aperta una disputa che divide i partiti e gli schieramenti politici. Infatti, se il Senato, come è previsto nella riforma del bicameralismo perfetto propugnata da Renzi e dalla maggioranza del Partito democratico, verrà trasformato in una Camera della autonomie locali, vi è il rischio che diventi un’istituzione simile alla Conferenza tra Stato e Regioni, di fatto già esistente. Inoltre, un Senato non elettivo e la cui composizione verrà decisa con un sistema di elezione indiretta, associandone la lista dei componenti al voto per il rinnovo dei Consigli regionali, proposta avanzata in questi giorni da chi si oppone alla riforma del ministro Boschi, rischia di essere una Camera in cui confluiranno politici locali nominati dal Premier di turno.

Se da un lato è giusto pretendere il superamento del bicameralismo perfetto, per rendere più rapido ed efficiente il processo decisionale, dall’altro lato non bisogna dimenticare che vi è il pericolo che il sistema politico si venga a trovare sprovvisto di alcune fondamentali istituzioni di garanzia, necessarie per assicurare l’equilibrio tra i poteri, secondo la lezione immortale di Montesquieu. Infatti la legge elettorale, appena approvata, prevede che il premio di maggioranza, qualora il partito più votato non raggiunga la quota del 40 per cento, sia assegnato alla lista e non alla coalizione. Il nuovo sistema elettorale, per come è stato disegnato e concepito, rischia di attribuire un potere smisurato e privo di limiti visibili al Premier, in un sistema politico in cui la maggioranza di Governo, in assenza delle istituzioni di garanzia, potrà decidere l’elezione del Presidente della Repubblica e occupare tutti i posti di potere.

Proprio in questi giorni in cui si discute della riforma del bicameralismo perfetto, che dovrà essere approvata in autunno, sia la minoranza del Pd sia le componenti del mondo moderato e liberale hanno invocato un confronto su questi temi delicati con il Governo, che rischia di non avere i voti necessari per approvare la riforma istituzionale proprio al Senato. In questo dibattito politico in cui sono coinvolti tutti i partiti, è apparsa degna di nota e molto significativa - come detto - l’analisi del costituzionalista Ainis, il quale in un suo editoriale sul Corriere della Sera con grande intelligenza si è chiesto se sia possibile ricavare un’idea generale dall’insieme delle riforme che il Governo Renzi ha già approvato ed è impegnato a perseguire. Le riforme istituzionali, fino a questo momento discusse ed in via di approvazione, produrranno delle conseguenze radicali e profonde, sicché il sistema politico muterà moltissimo.

Vi sarà, secondo il giurista Ainis, una personalizzazione, una verticalizzazione e una unificazione del sistema politico-istituzionale. Infatti la tendenza e l’orientamento che emergono dalle riforme proposte dal Governo Renzi vanno in questa direzione. Già sono entrate in crisi le istituzioni collegiali, dai Consigli comunali alle assemblee regionali, alla stessa Camera dei deputati, che approva le decisioni adottate dal Governo, spesso con il ricorso alla decretazione di urgenza senza che ne ricorrano i presupposti richiesti dalla Costituzione. Se nella scuola il potere decisionale del preside verrà accresciuto dalla riforma voluta dal Governo, altrettanto accadrà nella governance della Rai, in cui il direttore generale avrà poteri enormi nei riguardi del Consiglio di amministrazione.

Lo stesso Jobs Act, che ha ridotto i vincoli in materia di licenziamento previsti per tutelare il diritto al lavoro, finirà per rafforzare il potere dei manager nelle imprese private e nella amministrazione pubblica. Da queste riforme è naturale e ragionevole attendersi sia una destrutturazione del sistema istituzionale, con un forte ridimensionamento delle istituzioni di garanzia e dei corpi intermedi, sia una concentrazione del potere in poche mani. Alla fine, per cambiare un sistema politico che non funziona, c’è il rischio di avere una deriva oligarchica della vita politica e democratica, indicata come la più pericolosa delle insidie in passato incombente sulle democrazie occidentali da due grandi pensatori come Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto.

Come ha notato con la consueta lucidità e sensibilità culturale da vero liberale Piero Ostellino, attraverso un suo eccellente su “Il Giornale” del 9 agosto, Renzi, con una oratoria e una facondia intrisa di un potere di fascinazione ingannevole, fino a questo momento ha prodotto riforme modeste e improvvisate, senza riuscire a scalfire e rimuovere le cause della crisi del sistema politico ed economico. La verticalizzazione e la personalizzazione del sistema politico, comportando un rapporto diretto tra il leader del momento e la pubblica opinione, così come ha notato nel suo scritto pregevole il professor Ainis, rischia di dare vita ad un sistema politico, in cui vi sarà la riduzione, fino a renderli inefficaci, dei corpi intermedi e delle istituzioni collegiali, e una conseguente e pericolosa concentrazione del potere in poche mani ad ogni livello della vita pubblica.

Su questi temi è giusto e ragionevole attendersi un dibattito serio e aperto nel Parlamento della Repubblica e nelle sedi intellettuali e istituzionali in autunno, cioè quando si dovrà approvare la riforma del bicameralismo perfetto e rivedere il Titolo V della Costituzione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:31