Migranti e rifugiati,   la Giornata mondiale

Domenica 17 gennaio celebravamo, come Lega Italiana dei Diritti Umani (Lidu), la 102esima “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato”. Tanti di essi erano in Piazza San Pietro a Roma per assistere all’Angelus di Papa Francesco. Il Pontefice ha voluto dedicare la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato del 2016 al tema: “Migranti e rifugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della misericordia”, accompagnando questa scelta con un messaggio chiaro alla comunità internazionale e privo di qualsiasi retorica, in cui il Pontefice ha salutato la presenza dei migranti come un “segno della speranza di Dio”, invitandoli a non lasciarsi rubare la speranza e la gioia di vivere. Inoltre, nel messaggio il Papa ha sottolineato come i flussi migratori siano ormai una realtà strutturale e la prima questione che si impone riguardi il superamento della fase di emergenza per dare spazio a programmi che tengano conto delle cause delle migrazioni, dei cambiamenti che si producono e delle conseguenze che imprimono volti nuovi alle società e ai popoli. Nel denunciare “l’indifferenza e il silenzio che aprono la strada alla complicità quando assistiamo come spettatori alle morti per soffocamento, stenti, violenze e naufragi”, Francesco ha evidenziato l’importanza di guardare ai migranti non soltanto in base alla loro condizione di regolarità o di irregolarità, ma soprattutto come persone che, tutelate nella loro dignità, possono contribuire al benessere e al progresso di tutti, in particolar modo del Paese che li accoglie.

Se si osservano i fatti di cronaca attuali, il messaggio del Papa rimane sostanzialmente inascoltato: la parola d’ordine appare sempre più quella di chiudere, o meglio sbarrare le porte a chiunque cerchi rifugio in Europa, probabilmente anche sulla scia degli atti di terrorismo che si stanno continuamente verificando. Solo alla vigilia della Giornata mondiale del migrante è giunta la notizia che il governo danese ha deciso di sequestrare i beni dei profughi per fare fronte alle spese di gestione. Del pari, anche la Svizzera ha stabilito di imporre ai rifugiati di consegnare fino a 1.000 franchi svizzeri (circa 900 euro) dei loro beni per pagare le spese di accoglienza.

Ancora, fra le notizie di cronaca spicca l’arresto di tre soccorritori spagnoli con l’accusa di traffico di esseri umani. L’imputazione ha del paradossale dato che essi erano impegnati a salvare vite umane a largo dell’isola di Lesbo in Grecia, in quell’imponente macchina della solidarietà che ha portato centinaia di volontari da tutto il mondo sulle isole greche e sulle coste turche. Loro, la Giornata del migrante e del rifugiato hanno rischiato di trascorrerla in cella, se non fosse stato per una mobilitazione internazionale che ne ha determinato la scarcerazione. Probabilmente si tratta di un chiaro segnale di avvertimento facente parte della più ampia strategia di difesa dei confini esterni della fortezza Europa avviata con la concessione di 3 miliardi di euro alla Turchia per “contenere i flussi di migranti”. Nelle stesse ore in cui venivano arrestati i rescue workers, le statistiche ci dicono che nel Mediterraneo sono morte annegate quasi quattromila persone l’anno scorso, di cui settecento bambini, duecento di questi annegati nel braccio di mare tra la Turchia e la Grecia. Ormai l’acronimo Ue significa Unione degli Egoismi, come ha tuonato il cardinale Montenegro in uno dei principali confini esterni dell’Europa, l’isola di Lampedusa, che nelle proprie acque ha vissuto tante tragedie di disperati.

In Italia solo nove giorni fa un ragazzo nigeriano di 28 anni si è buttato sotto un treno a Ferrara. Nel giro di pochi minuti, sono incominciati ad arrivare i primi commenti sui social network. “Meglio così”. “Finalmente una buona notizia!”. “Posso unirmi ai festeggiamenti?”. “Speriamo non si sia danneggiato il treno”.  Spesso se si guarda a tali profili, si tratta anche di persone con una cultura medio-alta. Probabilmente qui risiede la responsabilità anche delle istituzioni incapaci di dare risposta a situazioni complesse e difficili anche fra gli stessi italiani, le quali fanno in modo che tali frustrazioni si riversino sullo “straniero che viene qui solo a delinquere” per fare in modo che la gente non badi troppo alle loro inettitudini.

Tutti dimenticano che, secondo le statistiche ci dicono che un terzo dei rifugiati o dei richiedenti asilo presenti in Italia ha subito torture, violenze o maltrattamenti. In questo, l’Unione europea non può e non deve celarsi dietro l’alibi della paura e mettere da parte quelli che sono i diritti fondamentali della persona umana semplicemente in quanto “Uomo”. Al contrario, se da un lato è sacrosanto vigilare per garantire la sicurezza di tutti contro gli estremismi violenti e pretendere il rispetto delle leggi in vigore (cosa ben diversa dal chiedere l’osservanza di un sistema di valori pseudo condivisi o giudizi individuali su cosa siano comportamenti socialmente ammessi), dall’altro l’Ue e i singoli Paesi membri hanno il dovere morale di impegnarsi a lavorare sulle cause che generano le migrazioni forzate e di garantire standard di sicurezza adeguati a chi è costretto a chiedere asilo per salvare la propria vita. Altrimenti, le decine di Trattati e le Carte dei diritti in vigore in Europa, lungi dal rappresentare un patrimonio comune giuridicamente vincolante, finirebbero per diventare una mera lettera morta inutile perché, utilizzando le parole del sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, “se i diritti non sono di tutti non sono di nessuno” .

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:57