I nodi della realtà

La manovra correttiva di primavera arriverà eccome e arriverà non solo perché l’Europa, che Renzi ha attaccato nel momento e nel modo peggiore, non ci farà sconti, ma perché le cose non stanno come ci dicono. L’effetto trompe-l’oeil che da mesi e mesi il Premier ha scatenato sugli italiani va infatti progressivamente svanendo, per lasciare spazio alla realtà retrostante. Spiace, infatti, che dai sondaggi ancora così tanta gente continui a credere alle favole del Premier, che magari fossero vere, ma purtroppo non è così.

In economia ci sono segnali inequivocabili che testimoniano la crescita di un Paese, ma tra questi indicatori di certo non sono contemplati né i titoli dei giornali, né la quantità delle performance televisive del Presidente del Consiglio e dei membri di Governo. Inflazione, consumi, contenziosi e rateizzi fiscali, sofferenze bancarie, debito pubblico, occupazione stabile, dicono infatti, molto ma molto di più di qualunque spot e di qualunque show politico. Del resto se così non fosse non ci spiegheremmo la cautela di Draghi sulla crescita, la Borsa di Milano che prende schiaffi a ripetizione ben più delle altre, l’occupazione che riprende a scendere e l’esasperazione fiscale ormai prossima ad una rivolta popolare. Se l’Italia, infatti, non fosse stata una Repubblica fondata sull’impiego pubblico o para- pubblico……da quel di che le piazze si sarebbero accese come falò. Al contrario, se ancora il PD e la sua maggioranza raccolgono consensi e la protesta sociale si mantiene sotto i livelli di guardia, è proprio perché nel Paese esiste una enormità d’impiego che direttamente o indirettamente è garantita dallo Stato.

Infatti, per un verso, avere riempito l’Italia di assunzioni statali (enti locali, carrozzoni e municipalizzate compresi) e per l’altro costruito un welfare insostenibile fatto di ingiustizie e privilegi, a garantito il contenimento dell’esasperazione sociale. Va da sé, che ritrovarsi con la certezza dello stipendio a “prescindere”, significa non solo non accorgersi della crisi, ma soprattutto dormire sonni tranquilli almeno finché dura. Finché dura perché se la costruzione di un modello così statalista e in buona parte inutile e inefficiente, non è sostenuta da un settore privato che tira e gode di grande salute, tutto entra in crisi e sono dolori nei conti e nel bilancio pubblico. Anno dopo anno il peso di una spesa fuori controllo è andato ad aumentare il debito e l’incremento ossessivo dell’imposizione fiscale, per tentare di contenerlo, si è sommato alla crisi economica. Inoltre, gli scandali e le ruberie che hanno impunemente continuato a imperversare hanno fatto il resto.

Per questo il sistema bancario italiano è quello che è (e i mercati lo sanno bene), per questo il debito non scende ma sale, per questo le liti e ricorsi fiscali sono giganteschi, per questo siamo costretti a chiedere flessibilità che difficilmente servirà, posto che la diano. Per ripartire servirebbe per prima cosa un grande reset fiscale, che consentisse alle famiglie e alle imprese di riprendere fiato, sonno e voglia di fare, per seconda cosa una serie di privatizzazioni a tappeto, compresa la vendita di patrimoni inutili e mal gestiti. Terza cosa, sarebbe necessaria una rivoluzione del welfare che riportasse giustizia, tagliando i privilegi e le vergogne, quarta cosa, il dimezzamento vero di tutti i costi della politica centrale e periferica. Da ultimo, servirebbe l’unica riforma che non è stata nemmeno accennata, l’eliminazione di ogni forma di Statuto speciale, a partire dalla Sicilia. Solo così e solo facendo questo, interviste, show, proclami e titoli di giornali potranno avere senso, altrimenti ci resta solo la speranza che in Italia finalmente si sveglino tutti, compresi quelli che ancora dormono tranquilli, perché questa tranquillità continuando così potrebbe finire anche per loro.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:18