I Rom della Capitale  fuori dalla videoarena

La denuncia sporta da Marco Pannella nei confronti dell’amministrazione capitolina per discriminazione razziale verso Rom e Sinti illustra il modo in cui le violazioni dei diritti umani sono funzionali alla corruzione. Non è un caso infatti che la mancata applicazione della Strategia nazionale d’inclusione per Rom, Sinti e Caminanti approvata dal governo italiano nel marzo 2012 abbia impedito alle amministrazioni l’accesso ai fondi europei, in favore di un enorme dispendio di denaro comunale.

E’ ormai noto che sui campi nomadi circolano grandi interessi, che coinvolgono le amministrazioni, l’associazionismo e i proprietari dei terreni su cui sono allestiti i villaggi. Il rifiuto della rappresentanza Rom, Sinti e Caminanti come componente istituzionale prevista dalla Strategia ha fatto il paio con progetti commissariali volti a favorire alcune associazioni e cooperative con la scusa della “tutela” o perfino della “vigilanza” della minoranza.

Su questa pesa il mancato riconoscimento di uno status giuridico, obiettivo di recenti proposte di legge sostenute dalla rappresentanza Rom, che ha cercato di coinvolgere i cittadini e di aprire un dibattito in tal senso. Gli italiani sono però vittime di una propaganda lontana dai fatti, che si nota ad esempio nella rappresentazione degli sgomberi dei Rom “ricchi”, persone spesso indigenti accusate di possedere un elevato reddito annuale, che nella maggior parte dei casi si rivela l’ammontare dei risparmi di una vita.

All’immagine distorta e agli enormi interessi sui campi si sommano sistemi paralleli di speculazione e corruzione, che vanno dall’estorsione ai ricatti ai danni delle famiglie senza casa, che pesano anch’essi sul modo in cui la Strategia è stata sistematicamente ostacolata o aggirata negli ultimi quattro anni. Il documento prevede l’apertura di Tavoli d’inclusione a livello amministrativo: la Regione Lazio ha approvato una delibera di convocazione in palese violazione della Strategia stessa, mentre Roma Capitale non l’ha mai aperto.

I campi nomadi sono stati oggetto di speculazione fin dagli anni 90, quando il Comune si è offerto di acquistare o pagare l’affitto sui terreni per i primi insediamenti “tollerati”. Gli interessi sui campi hanno condotto a una falsa immagine dei Rom come soggetti non autosufficienti, bisognosi di tutela e incapaci d’integrarsi nel tessuto sociale, con una rimozione di massa dello straordinario patrimonio artistico-culturale della minoranza.

1. La denuncia di Marco Pannella

Il 9 dicembre 2015, grazie all’on. Barbara Spinelli, si è potuto parlare di campi nomadi, sgomberi forzati e “Mafia Capitale” al Parlamento europeo, dove è stato proiettato il documentario “Dragan aveva ragione”. Oltre alla Spinelli e al co-autore del film Gianni Carbotti, sono intervenuti Moni Ovadia, Dijana Pavlovic, Laura Ferrara, Soraya Post, Sergio Bontempelli e Marco Brazzoduro. C’è stato spazio per parlare della denuncia di Marco Pannella per discriminazione razziale nei confronti dei Rom e dei Sinti, sporta contro il Comune di Roma il 16 giugno 2015 e consegnata al p.m. Giuseppe Pignatone, all’interno del dibattito “Mafia Capitale: le mani su emergenza, migranti e campi rom”: la versione integrale è disponibile su Radio Radicale. Pannella ha ritenuto di allegare alla citata denuncia copia del film, per via delle violazioni dei diritti umani riscontrabili nella visione del lungometraggio. Il testo della denuncia è stato curato dall’avv. Vincenzo Di Nanna, segretario dell’associazione radicale Amnistia, Giustizia e Libertà Abruzzi. Tale documento illustra il modo in cui le violazioni dei diritti umani sono funzionali al sistema di corruzione emerso grazie all’intervento della Procura. Ad esempio, la vicenda raccontata nel film riguarda una comunità Rom che l’amministrazione decide repentinamente di sgomberare da un terreno occupato abusivamente, proponendo come unica soluzione abitativa il campo di Castel Romano da cui le famiglie erano fuggite lamentando vessazioni, benché la normativa nazionale e internazionale (legge 881/77) preveda che gli sgomberi siano effettuati solo con congruo preavviso e laddove sia presente una soluzione abitativa migliore. Non si può non rilevare il fatto che, in base alla ricostruzione della Procura, la stessa comunità fruttava centinaia di migliaia di euro al mese a Salvatore Buzzi, fin quando era residente a Castel Romano. A prescindere da tali valutazioni, il documento di Marco Pannella è il solo che collega l’infrazione sistematica delle leggi che tutelano i diritti umani con il sistema di corruzione tratteggiato dalla Procura. In quest’ottica va inserita la violazione della Strategia e il continuo riferimento ai fondi comunali piuttosto che a quelli europei, altrimenti illogico. Al di là quindi degli sviluppi giudiziali della denuncia, il testo è un documento politico di cui è necessario prendere visione se si vuole comprendere le ragioni sottese alle resistenze delle amministrazioni locali a un corretto percorso d’inclusione per le comunità RSC.

2. Il progetto Tronca

Il superamento dei campi nomadi di cui hanno parlato i media in relazione al Documento unico di programmazione 2016-2018 è difficilmente riscontrabile nel documento stesso, che non va nella direzione della “Strategia nazionale d’inclusione per Rom, Sinti e Caminanti” approvata dal governo Monti e ratificata dall’Unione Europea a marzo del 2012. L’ampio quadro di finanziamento previsto dalla Strategia risulta ancora intatto: per accedervi sarebbe stato necessario avviare dei percorsi di partecipazione mediante appositi Tavoli istituzionali. In tale direzione andava la delibera voluta dall’assessore alle politiche sociali Francesca Danese, che non ha mai visto la luce perché la giunta Marino è caduta due giorni dopo che la bozza fosse completata. E’ opportuno citare il fatto che l’Associazione Nazione Rom a novembre 2015 ha richiesto con protocollo un incontro urgente al commissario Tronca, appositamente per discutere dell’approvazione della delibera convocante il Tavolo d’inclusione, che permetterebbe al Comune l’accesso ai fondi strutturali e conseguentemente l’arresto della emorragia di denaro comunale ormai nota in seguito allo scandalo “Mafia Capitale”. Il Documento, però, non fa alcun riferimento alla delibera e si richiama ad altri documenti comunali precedenti all’inchiesta della Procura. Annuncia l’ampia partecipazione del terzo settore e prevede un bando per la gestione dei campi nomadi, pur promettendo di superarli, lasciando pertanto invariato il ruolo dell’associazionismo. Ad esempio per il trasporto riservato scolastico, tra le voci più controverse per motivi di budget, risultati in proporzione ai costi e pari opportunità, il Documento prevede sin d’ora l’assegnazione di € 2.212.704,00 annuali per 2.000 minori in età scolare. Se da un lato non vi sono dettagli in merito ai progetti di scolarizzazione, sappiamo già che costeranno al Comune 1.106,352 euro l’anno a bambino, pur accennando alla possibilità di accedere a finanziamenti europei che senza l’avvio dei percorsi di partecipazione mediante i Tavoli d’inclusione non saranno mai “sbloccati”. Si rileva inoltre il persistere di un approccio securitario per cui la minoranza etnico-culturale è oggetto di specifiche prerogative di una parte del corpo di polizia municipale, che dovrebbe occuparsi, sempre in base al Documento, del “monitoraggio e censimento dei nomadi (sic) e degli insediamenti abusivi”, in direzione opposta alle linee-guida della Strategia.

3. La Strategia d’inclusione

Inesattezze nella rappresentazione mediatica di “Mafia Capitale” hanno condotto a una percezione errata degli interessi che circolano sui campi nomadi. Se si trascura ad esempio la violenza e le logiche degli interventi di sgombero è difficile avere una concezione obiettiva dei guadagni che una comunità può fruttare su un terreno piuttosto che un altro e dell’asservimento dimostrato dalle amministrazioni a questo genere di interessi. Il rifiuto dei fondi europei in favore d’ingenti somme di fondi comunali, che ha caratterizzato il periodo 2012-2014, ma anche le proposte successive ad eccezione della citata delibera dell’assessorato, non può essere spiegato altrimenti che come una volontà di mantenere ambiguo il rapporto tra il bilancio comunale e le politiche d’inclusione. Tale ambiguità si rivela ulteriormente dai criteri con cui sono stati effettuati gli sgomberi delle comunità trasferite in campi come quello di Castel Romano, con le dinamiche emerse dalle intercettazioni legate alla operazione Mondo di Mezzo. Interessi che pesano sul rifiuto della partecipazione prevista dalla Strategia anche per le comunità Rom, Sinti e Caminanti (RSC). La natura collegiale del lavoro di concerto proposto dalle linee-guida è peraltro inevitabile se si pensa alle enormi differenze che caratterizzano le comunità residenti nei campi nomadi, estremamente eterogenee, e che necessitano pertanto di interventi diversificati nelle logiche d’inclusione. A Roma risiedono comunità Rom che non hanno particolari problemi sul piano occupazionale e sono in possesso di regolare cittadinanza italiana, afflitte prevalentemente da questioni legate alla discriminazione e all’esigenza di trovare una soluzione abitativa alternativa al campo. Accanto a queste troviamo nuclei insediati in tempi più recenti che hanno difficoltà nella regolarizzazione dei documenti, nell’occupazione, nell’accesso ai servizi di base come la stessa scolarizzazione dei figli, problemi nella comunicazione linguistica e nella partecipazione alla vita sociale, spesso composti da famiglie fuggite in seguito alla guerra del Kosovo da villaggi distanti dal centro abitato e “trapiantati” nei campi nomadi.

4. Il rifiuto della rappresentanza RSC

“Occorre a Roma azzerare ogni rappresentanza Rom”. (Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 Luglio)

L’azzeramento della rappresentanza RSC ricorre invece nelle proposte politiche e in quelle di una parte del terzo settore, che in tempi recenti ha tentato di riproporre strategie commissariali che prevedono l’esclusione della partecipazione RSC. Ciò è avvenuto anche dopo lo scandalo “Mafia Capitale”, in modo particolare con un progetto, ripresentato nell’estate 2015 sotto forma di delibera di legge popolare, fortemente voluto dal consigliere della Lista civica Marino Riccardo Magi e dal presidente dell’associazione 21 Luglio Carlo Stasolla a dicembre del 2014. Tale progetto prevedeva un commissariamento di fatto che avrebbe circoscritto le competenze amministrative nelle politiche d’inclusione RSC a un ufficio gestito da un singolo delegato del sindaco, estraneo all’assessorato e dipendente dal sindaco stesso, con la conseguente rinuncia ai percorsi di partecipazione e, quindi, ai fondi strutturali. Ciononostante, la delibera è stata pubblicizzata come volta al superamento dei campi e all’attuazione della Strategia: un dato che è indispensabile sottolineare, in quanto tali obiettivi ricorrono sempre più spesso in progetti che a un attento esame non li inseguono affatto. Questo progetto in particolare merita di essere citato per via dell’insolito spazio e della vasta legittimazione che ha ricevuto, nonostante prevedesse l’esclusione dell’assessorato e della rappresentanza RSC, oltre alla riconversione dei fondi comunali, anziché rispondere ai criteri di trasparenza e collegialità previsti dalla Strategia e mirare all’accesso per il Comune di Roma ai fondi strutturali messi a disposizione dall’UE. La delibera ha suscitato aspre reazioni da parte della rappresentanza RSC regolarmente accreditata per la partecipazione alla Strategia, che pone particolare attenzione a dettagli fondamentali, come la condizione delle donne Rom, i quali richiedono necessariamente un confronto con la società civile RSC e, in modo particolare, con quella parte della rappresentanza che si è battuta in sede nazionale e transnazionale per i diritti umani della minoranza. Non è inutile sottolineare che la crescente quota femminile nella rappresentanza RSC è indice di una trasformazione profonda che sta avvenendo all’interno e all’esterno della minoranza, di cui non si può non tener conto nelle politiche d’inclusione e nella riflessione sui diritti umani e le pari opportunità.

5. Lo status giuridico di minoranza

Nella vita dei Rom della Capitale pesa l’assenza del riconoscimento di uno status giuridico di minoranza (anch’esso previsto dalla Strategia), che comporta la presenza di un ufficio Rom, Sinti e Caminanti incaricato di gestire gli affari relativi a un popolo giuridicamente inesistente. La coscienza della necessità di questo riconoscimento dal punto di vista legislativo, sollevato inizialmente dai soli Radicali fin dal 1999, quando i Rom furono esclusi dalle Norme per la tutela delle minoranze linguistiche storiche (legge 482), si sta diffondendo nella società civile RSC, che nell’ultimo anno ha cercato di coinvolgere i cittadini italiani nel dibattito su proposte di legge in tal senso. E’ significativo come, se da un lato il sostegno politico a tali proposte è stato scarsissimo e ha visto in prima fila solo l’ex segretaria di Radicali Italiani Rita Bernardini, dall’altro i media non hanno dato alcuno spazio a tali iniziative. E’ difficile non collegare il silenzio e il rifiuto della politica nei confronti della necessità di uno status con la mancanza di trasparenza che implica l’assenza di tale riconoscimento, la quale consente di stanziare annualmente un ingente flusso di fondi pubblici in direzione di una minoranza che non è riconosciuta sul territorio dal punto di vista giuridico. A tutt’oggi ci risulta che i soli ad aver posto continuativamente questo problema e ad averne analizzato i pericolosi risvolti ai danni della trasparenza e dell’inclusione siano i Radicali di Marco Pannella. Inutile precisare che l’assenza formale della minoranza incide drammaticamente sia sulla negazione della rappresentanza RSC che sulla partecipazione delle comunità alla vita politica e sociale del paese. D’altro canto, se si considera anche solo la mole di denaro pubblico stanziato per la gestione e la manutenzione dei campi nomadi, è facile comprendere quali e quanti conflitti d’interesse ostacolino un riconoscimento formale della minoranza. Altrettanto semplice è spiegare la scarsa collaborazione di buona parte del terzo settore a tali proposte, dato che i fondi sono prevalentemente destinati ad associazioni e cooperative, mentre altre realtà apparentemente prive di conflitti d’interessi ricevono ingenti finanziamenti privati per occuparsi dei diritti dei Rom mirando all’esclusione della loro rappresentanza.

6. Gli sgomberi dei Rom “ricchi”

La leggenda dei Rom “ricchi” che abitano nei campi nomadi è stata alimentata da iniziative politiche, amministrative e giudiziarie, unite a un’intensa propaganda mediatica. In realtà, gli interventi di sgombero hanno riguardato prevalentemente famiglie indigenti e soggetti fragili, che si sono ritrovati privi della propria dimora in seguito a indagini sul loro patrimonio che attendevano di trovare riscontro nelle sedi opportune, spesso relative a risparmi accumulati in anni di raccolta dei rottami e quindi non indicativi dell’ISEE, il cui ammontare non superava affatto il massimo consentito per risiedere nelle abitazioni di proprietà dell’amministrazione; senza contare che tali interventi riguardano anche i campi “tollerati”, in cui le comunità non possiedono alcun contratto con l’amministrazione e alcuni nuclei subiscono allontanamenti repentini e arbitrari. Quando i Rom “ricchi” sono poi assolti, il danno della distruzione dell’abitazione e all’immagine della comunità coi conseguenti servizi televisivi e articoli giornalistici non trova rimedio. I criteri, inoltre, con cui gli interventi di “bonifica” che hanno caratterizzato la gestione Marino, in cui solo alcune baracche subivano la rimozione e altre erano lasciate in piedi, non trovano sempre giustificazione nel patrimonio delle famiglie residenti e seguono logiche incomprensibili, a meno di voler supporre che siano basati su interessi diversi da quelli chiamati in causa dalla “legalità”. Non si può infatti non considerare l’importanza degli interessi che circolano sui terreni per cui il Comune paga regolare affitto in cambio della permanenza delle comunità RSC. Inoltre, accanto a logiche puramente propagandistiche legate al decoro del quartiere e alle proteste dei residenti, vi sono le testimonianze in merito a prestazioni sessuali, tangenti e favori d’altra natura in cambio dell’assegnazione degli alloggi; è utile ricordare che indagini della Procura in tal senso negli ultimi anni hanno condotto anche ad arresti di funzionari della pubblica amministrazione. Testimonianze riguardano anche la diffusa pratica del “pizzo” sulle baracche a vantaggio dei racket. Discriminazioni interne affliggono inoltre la realtà dei “villaggi attrezzati”, i campi autorizzati dal Comune, in cui emerge chiaramente una disparità di trattamento tra gli stessi residenti sia nell’assegnazione che nelle condizioni degli alloggi (fine prima parte).

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:03