Fra incudine e martello

La miglior difesa è l’attacco e Renzi, nel migliore degli stili, si scaglia contro l’inefficienza della Procura di Potenza utilizzando così il vecchio metodo di “parlare a nuora perché suocera intenda”.

Bene, il nostro pensiero sui mali e sui difetti di tutta la giustizia italiana (civile, penale e fiscale) sono noti e arcinoti, dunque, sarebbe inutile ripresentarli nuovamente. Detto questo, ritorniamo al punto vero che non è, né potrebbe essere, quello d’intavolare ora un dibattito sulla magistratura, anche se nel Bel Paese sarebbe necessario come il pane. Il problema vero è che da sempre in Italia politica e classe dirigente, nella stragrande parte dei casi, hanno pensato ai comodi loro piuttosto che al Paese, agli amici piuttosto che alla gente, agli interessi particolari piuttosto che a quelli generali. Su questo, quale che sia il giudizio sulla giustizia, riteniamo non possa e non debba esserci dubbio, non foss’altro che per l’infinità di scandali e di malaffare che da decenni devasta l’Italia.

Perciò, c’è la necessità che la politica, in ogni forma espressa, non solo inizi a fare un mea culpa definitivo chiedendo scusa agli italiani ma, soprattutto, si renda conto che governare, comandare e dirigere la cosa pubblica non è lo stesso che amministrare l’azienda di famiglia. Se, infatti, non ci si mette in testa che la gente non né può più dell’andazzo - non perché suggestionata dalla magistratura ma per l’evidenza della vita quotidiana, per i disservizi che sopporta, per le tasse che paga e per i soprusi che subisce - non si arriverà mai a capire quanto grave e pericolosa sia la situazione.

Infatti, che piaccia o no, la follia di leggi assurde e demenziali, la politica fiscale e quella clientelare, la moltiplicazione di una burocrazia nulla facente, la devastazione delle aziende di stato, i ribaltoni di potere e le maggioranze di opachi opportunismi le ha inventate e costruite la politica e basta. Per questo - decennio dopo decennio - in trenta, quarant’anni siamo precipitati in un mare di guai, siamo stati tartassati come sudditi, siamo trattati come pezze da piedi e non come cittadini.

Per questo l’assenteismo elettorale è immenso, la protesta sociale enorme, l’indignazione esplosiva e la sfiducia è totale. Qui la magistratura poco c’entra, c’entra invece il senso dello Stato, la concezione della rappresentanza parlamentare, il rispetto per gli elettori, il bene che si dovrebbe alla cosa comune e l’onestà dei comportamenti. È su questo che non si vede alcun cambiamento, anzi, è su questo che anche il Governo Renzi non ha invertito la marcia ed è su questo che si gioca il futuro del Paese. Che poi in tanti, troppi casi, le indagini (a partire da tangentopoli) siano state inspiegabilmente parziali, a senso unico, deboli con alcuni e troppo viziate con altri fa parte purtroppo della storia d’Italia. Del resto anche qui vi è una verità assoluta e, se in decenni, nessun Governo è mai riuscito a fare una riforma totale, profonda e copernicana della giustizia un motivo ci sarà pure e il dubbio che fra causa ed effetto, politica e giustizia, partiti e giudici, vi sia qualche cosa che non funzioni è fin troppo chiaro.

Alla fine resta un Paese schiacciato fra incudine e martello, obbligato a non credere più né alla politica né alla giustizia, costretto a pagare errori a suon di tasse e sacrifici, a subire ogni sorta di abuso e sopruso, a vivere nell’ansia e nella preoccupazione per il futuro. La rottamazione “fasulla” di Renzi avrebbe dovuto fare questo: riportare la fiducia nella politica, la pace fiscale, la sovranità nelle mani del popolo e la trasparenza al centro dell’apparato dirigente. È questo il suo imperdonabile fallimento e non c’è supponenza che tenga, tracotanza che funzioni, spavalderia che regga, fanfaluca che convinca. Il giudizio dunque è negativo e senza appello e a emetterlo stavolta non è un tribunale ma l’opinione pubblica che, oramai, ha capito tutto quel che c’è da capire.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:02