Magistratura arrogante

I politici rubano più di prima, solo che adesso non si vergognano neanche più”. È la ormai nota dichiarazione di questi giorni del neo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Piercamillo Davigo.

Si sa, la ribalta mediatica fa piacere a tutti, è un virus che contagia facilmente. E allora chi più ne ha, più ne dica, pur di avere il favore della stampa. Sia ben chiaro, di una certa stampa. Non c’è dubbio, le dichiarazioni di Davigo sono palesemente fuori luogo. Come presidente dell’Anm, l’ex giustiziere del pool di “Mani Pulite”, dovrebbe, come da suo compito, lavorare per l’indipendenza, l’autonomia e il prestigio della magistratura, dando al più indicazioni di massima sulle riforme legislative. E invece, pur essendo passato un ventennio, ci ritroviamo, tra una domanda e un’altra, catapultati nuovamente nell’ormai consueto scontro tra politica e magistratura.

Intanto, Davigo è rimasto isolato. Il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giovanni Legnini, ospite a in “Mezz’ora” di Lucia Annunziata, ha preso le distanze. Analoga cosa ha fatto magistratura democratica. Mentre Gratteri, che forse non ha ancora perdonato a Napolitano il diniego sul suo nome come ministro della Giustizia e il napoleonico Di Matteo che sulla trattativa Stato-mafia non ha certamente fatto una bella figura, sono i soli a spalleggiare Davigo, alimentando lo scontro. Più che uno scontro, un attacco frontale e un po’ troppo generalizzato al mondo politico. Dichiarazioni del tutto infondate poi, le loro. Basterebbe farsi un giro nei piccoli paesi italiani e conoscere quei tanti amministratori che tra mille difficoltà ed a zero indennità amministrano le loro comunità con passione, dedizione, attenzione; sindaci coraggiosi che governano zone a massima densità di criminalità organizzata, quelle zone in cui proprio Davigo e la magistratura dovrebbero essere presenti.

Generalizzare è sempre sbagliato, come ha affermato anche Cantone in queste ore. Insieme al presidente dell’Amn dovremmo tutti riflettere sull’operato dei magistrati. Secondo la piattaforma Errorigiudiziari.com, dal 1991 ad oggi lo Stato ha speso quasi seicento milioni di euro tra riparazioni per ingiusta detenzione e indennizzi per errori giudiziari. Quasi l’intera somma, pagata dai contribuenti, per risarcire le decine di migliaia di ingiuste detenzioni in carcere e arresti troppo facili. Numeri che dovrebbero far imbarazzare. Oltre 22.400 errori giudiziali. Settemila arrestati, giudicati successivamente innocenti. Un numero elevatissimo se comparati a quelli di Stati Uniti, Francia, Germania. L’ultimo in ordine di tempo, il risarcimento milionario (sei milioni di euro) in favore di Giuseppe Gullotta che ha trascorso ventidue anni in carcere, dopo tre sentenze definitive e un lungo processo di revisione.

I risarcimenti sono infatti una delle voci di spesa che cresce ogni giorno. Lungaggini, errori e manette facili nascondono un lato oscuro del nostro sistema e basta vedere l’entità dei risarcimenti per capire che il fenomeno è clamoroso. Eppure alla luce dei dati sopraccitati nessuno ha mai azzardato una generalizzazione della categoria, affermando che i magistrati italiani sono meri incapaci nonostante, secondo i dati pubblicati dalla Cepej (Commissione europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa), un magistrato a inizio carriera in Italia percepisca 54mila euro l’anno, 18mila in più di un collega francese, 13mila in più di un tedesco, 7mila in più di uno spagnolo. I dati della Cepej dicono poi che solo negli ultimi quattro anni gli stipendi dei magistrati italiani sono cresciuti del 20 per cento per i giudici a inizio carriera e del 37 per cento per i giudici a fine carriera, l’aumento più esponenziale d’Europa.

Occorre allora forse resistere alla tentazione di cedere a superficiali semplificazioni e affrontare con coraggio la complessità dei problemi. La magistratura ha d’altronde tante criticità da affrontare e magari risolvere, dal depotenziamento delle correnti politiche del proprio organo superiore, alla necessità di chiedere alla politica più risorse per far funzionare meglio la giustizia e, magari, trattenere la lacrima facile quando proprio la politica giustamente riduce i termini feriali. La verità è che la magistratura ha occupato uno spazio lasciato vacante dalla politica proprio in questi anni. D’altronde, quando si elegge un magistrato come presidente del Senato per stabilizzare il livello di populismo del Paese o si nomina come presidente dell’Autorità contro la corruzione sempre un ottimo magistrato, ma pur sempre magistrato, la politica dà un segnale di resa. Una delegittimazione che ha consegnato il verbo della legalità e della giustizia alla magistratura.

Per questo forse è arrivato il momento di ritrovare un equilibrio istituzionale continuando a ricostruire un tessuto politico fatto di legalità e trasparenza così da evitare future discettazioni da parte dei tanti Davigo.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:28