Caso Sala: perché Parisi ha ragione

A Milano ferve il dibattito sul casus più casus di tutti. Capirai, se saltasse il possibile sindaco del Comune che più sta a cuore (fra gli altri ma in primis) a Matteo Renzi, sarebbe una specie di catastrofe. Per Renzi e il possibile sindaco, da un lato. Dall’altro, un successo insperato ed a mani basse per gli avversari, in primis per Stefano Parisi.

Insomma, Giuseppe Sala è candidabile o no a sindaco di Milano? Certo che no, sostengono quelli del M5S, i radicali e non pochi a destra. E vai coi ricorsi al Tar. Certo che sì, replica l’interessato aggiungendo che si tratta di ricorsi ridicoli. Corsi e ricorsi, verrebbe da dire, frequentissimi in ogni campagna elettorale. E legittimi, beninteso, in un Paese che è la culla del diritto soprattutto quando si tratta di formalità, campo prediletto in cui ogni parere è consentito e, talvolta, accolto dai piani superiori. Benché l’incandidabilità di Sala sia degna dei migliori (o peggiori, dipende) azzeccagarbugli meneghini. Detto manzonianamente e senza offesa per avvocati e giuristi chiamati a svolgere l’arduo tema: le dimissioni da commissario dell’Expo sono da considerarsi effettive qualora non vi sia stato un decreto ad hoc e l’interessato abbia continuato a firmarne atti? A naso diremmo che le dimissioni non hanno bisogno di decreti che le sanciscano. Ma vale anche la scuola di pensiero opposta. E, dunque, lasciamo pur fervere il dibattito in attesa dei responsi ai ricorsi.

In realtà e come sempre, il problema è politico. E non è il solo. Intanto c’è da prendere atto con piena soddisfazione della risposta immediata che Parisi ha dato al problema: “La competizione fra me e Sala è essenzialmente di stampo politico, riguarda un confronto serrato fra programmi e progetti, dunque qualsiasi ipotesi della sua incandidabilità mi è estranea giacché la lotta fra avversari deve essere squisitamente politica, tanto più in una città importante e decisiva come Milano”. È proprio così. Più la politica e i politici stanno lontani dalle aule giudiziarie/ammnistrative, più la loro azione nel raccogliere consensi elettorali si depura di qualsiasi scoria e riesce ad elevare il loro “mestiere” al di sopra dell’andazzo che purtroppo va per la maggiore.

A Milano l’irruzione della candidatura di Parisi ha fin da subito segnato un nuovo capitolo, un prima e un dopo, sotto il segno della politica. Laddove per “prima” spiccava uno ed uno solo dei candidati, vale a dire Beppe Sala reduce dall’indubbio successo dell’Expo (voluta, peraltro, e fortemente, da Letizia Moratti). E il centrodestra sembrava tagliato fuori dalla corsa per la prestigiosa poltrona di Palazzo Marino benché vi fosse un Maurizio Lupi (Ncd) che ne sarebbe stato il più capace e meritevole in quell’area comprendente la Lega. Ma la fatwa di Matteo Salvini ne ha impedito il decollo in nome della “colpevole” partecipazione dell’Ncd di Alfano & Lupi al Governo Renzi. Anche se, a dirla tutta, un altro responsabile della stessa “colpa” come Corrado Passera, dapprima candidato sindaco, è ora insieme alla Lega salviniana nell’alleanza strettasi intorno a Parisi. Il quale, peraltro, difende una orgogliosa autonomia il suo ruolo anche e soprattutto nei riguardi dell’irruenza, per così dire, di un Salvini così facile a scatenarsi sulle più varie emergenze, compresa, last but not least, quella della disobbedienza da lui ordinata ai suoi sindaci di non rispettare la legge sulle unioni civili. Che Parisi ha invece affermato di voler rispettare e di non firmare, conseguentemente, il referendum contrario che se ne vorrebbe prima o poi proporre.

L’aspetto più curioso della corsa binaria milanese non è soltanto il fair play fra due top manager, ma il salto all’insù che grazie a Parisi sta compiendo proprio quella “cosa” che molti credevano negata o sussunta dalla invadenza di campo della managerialità tecnocratica. La “cosa” chiamata politica ha, al contrario, compiuto un salto qualitativo e sta irradiando i suoi benefici effetti su una competizione che sembrava chiudersi nel campo della tecnicalità, sia pure di altissimo livello. Solo il ritorno della e alla politica può dare risposte concrete, decisive e di alto profilo alle grandi città chiamate a eleggere sindaci e consiglieri comunali. L’atteggiamento di Parisi va nella direzione giusta e ci sembra quasi scorgervi un sottotesto: la legge è legge, certamente, ma sarebbe più giusto che i partiti esclusi ora da interdizioni di formalismi burocratici ne potessero fare parte. Competition is competition, come si dice. E vinca il migliore, possibilmente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02