L’Italia e Regeni

Il ripristino della normalità diplomatica con l’Egitto, avvenuto a Ferragosto con il ritorno del nostro ambasciatore al Cairo, disposto dal Governo dopo l’opportuno suo richiamo della primavera dello scorso anno, costituisce la capitolazione dell’Italia di fronte a un regime, i cui apparati istituzionali, secondo attendibili fonti anche internazionali (informativa della Cia, citata proprio a Ferragosto dal New York Times) sarebbero coinvolti nel barbaro omicidio del giovane ricercatore italiano.

Sul cedimento del nostro Governo, a fronte delle nebulose e, ad oggi, non meglio chiarite informazioni provenienti dalle Autorità egiziane, hanno influito sia ragioni economiche, in considerazione di rilevanti interessi di imprese italiane in Egitto (in primis, l’Eni, che ha in corso progetti di estrazione petrolifera per svariati miliardi di Euro), messi in pericolo - anche di recente - dall’interventismo francese, sia ragioni di politica estera alle prese, nel Mediterraneo, con l’imponente fenomeno migratorio di persone disperate provenienti dalla costa africana e, in particolare, libica, su cui l’Egitto eserciterebbe un significativo potere di influenza.

La dignità con la quale la famiglia Regeni e con essa tanti esponenti della società civile hanno espresso il loro motivato dissenso dimostra che i principi di verità e di serietà non possono soccombere di fronte ad alcun interesse economico o politico e detti principi impongono che sulla fine di Giulio Regeni sia fatta, prima di tutto dalle Autorità del Cairo, piena e indiscutibile luce.

Tale necessità, che per l’Italia dovrebbe rappresentare un imperativo categorico, venendo in rilievo la protezione dei propri cittadini, compito fondamentale dello Stato, che sulla cittadinanza è fondato, dovrebbe essere prioritaria per il ripristino delle relazioni diplomatiche con un Paese, che ha mostrato finora inammissibili reticenze.

Colpisce peraltro, nella vicenda, l’isolamento in cui l’Europa ha lasciato l’Italia, mentre la cittadinanza europea, fondata sulla solidarietà, e non solo italiana di Giulio Regeni avrebbe dovuto indurre l’Unione stessa a pretendere che sia fatta piena luce sulla sua tragica fine. Il silenzio tenuto dalle Istituzioni eurounitarie, o comunque la timidezza con cui hanno affrontato il caso, dimostra, ancora una volta, l’incapacità dell’Unione di assumere un ruolo di guida nei rapporti diplomatici con i Paesi terzi.

Non si comprende neanche perché da Maastricht in poi pretenda di definirsi Unione politica e non solo economica, quando, contraddicendo i suoi valori di verità, libertà e giustizia, non pone in essere un’azione forte e decisa affinché siano accertate le responsabilità della vicenda, che riguarda un suo cittadino, tra l’altro impegnato in un’attività di ricerca dall’importante risvolto sociale, che, prima di tutto all’Europa, per la sua storia e tradizione, dovrebbe stare a cuore.

È la stessa linea, distaccata e pilatesca, tenuta nell’affrontare il fenomeno migratorio, lasciato in gran parte sulle spalle dei Paesi coinvolti e, in particolare, dell’Italia per la sua posizione geografica, causa non ultima del risorgere di nazionalismi e populismi, di vario genere, che dell’Unione europea sono il primo vero nemico.

(*) Docente di Diritto costituzionale nell’Università di Genova e di Diritto regionale nelle Università di Genova e “ Carlo Bo”  di Urbino

Aggiornato il 08 settembre 2017 alle ore 16:03