Ma le Idi di Marzo non sono finite

Commemorazione a vent’anni dalla morte in esilio, di Bettino Craxi, ad Hammamet, dove è sepolto.

Da qualcuno è venuto dunque un riconoscimento, certo con un imperdonabile ritardo. Da altri la rabbia della fine di una comoda preoccupazione di una sconcia e vigliacca persecuzione.

Meglio tardi che mai. E meglio esagerare che tacere. Craxi non fu Giulio Cesare. Ma fu certo tutt’altro che il ladruncolo caposcuola dei ladroni di oggi. Ma se qualcosa sentiamo in dissonanza con questo doveroso gesto di giustizia postuma, con questo squarcio di verità che si apre nella storia, ed è da augurarsi, nella politica italiana, è il voler dimenticare “le idi di marzo”, quello che significarono, di chi furono i pugnali che uscirono dalle toghe e le mani e le menti che li impugnarono. E, soprattutto, di fronte a quel po’ di giustizia per la memoria di Bettino (anche di fronte al tacere e difilarsi di qualcuno che, poi, pretenderebbe di appropriarsi della sua eredità e di gestirla spudoratamente) ciò che più conta e più ci angoscia è questo protrarsi negli anni e nei decenni delle “idi di marzo” o di altra ancor più vile congiura assassina.

Oramai nella “costituzione di fatto” di questa nostra Repubblica in mano ai giullari ed ai fanfaroni, ma non solo e non tanto a quelle di loro, si entra nelle stanze del potere e ci si siede sulle poltrone e sui banchi del Parlamento in base a leggi venute fuori dagli ultimi giochetti e dai cento altri espedienti con i quali la volontà popolare è gabbata piuttosto che saviamente espressa. Ma se ne esce per il lavorio di coltelli di una perpetua, sorda congiura. Coltelli giudiziari e mediatico-giudiziari. Ed altro. Il cui potere è però nell’aggrapparsi ai pugnalatori. Bruti, figli spuri taluni, di quell’esule sepolto ad Hammamet e di altri come lui, vittime della grande congiura che spense la Prima Repubblica e che qui rimasero e furono dimenticati.

Non posso dire di aver conosciuto Craxi. Mi salutò un giorno passando rapidamente per i corridoi di Montecitorio con un “Ciao Mellini”, che mi stupì, perché non ignorava il mio nome. E, poi, mi telefonò una volta da Hammamet, perché in un telegiornale mi aveva visto con in mano una copia di “Giustizia Giusta”. Forse avrebbe avuto voglia di parlare di molte cose di cui io, solitario o quasi, parlavo e scrivevo. Ma la condanna al silenzio era peggio di quella alle ferite dei coltelli dei congiurati che lo avevano esiliato.

Commemorino Craxi, E lo facciano senza la minima preoccupazione di non farsi sfuggire, magari, il più piccolo pezzetto della sua eredità. Ma se non diremo chiaro e forte che i coltelli di una proterva congiura incombono sul nostro Paese, minacciando le vite, l’onore, le ragioni, il potere, i diritti di quanti vogliono vivere e operare nelle libere Istituzioni e vogliono esserne serenamente parte, inutile e perduto sarà il compianto per quell’Uomo che, sicuramente per il solo fatto di essere ricordato così com’era, con la sua statura e pure con i suoi difetti e debolezze, rappresenta uno schiaffo, una risataccia in faccia a questi sciagurati detentori del potere.

Aggiornato il 21 gennaio 2020 alle ore 12:18