Dopo cinque anni Pd e M5S riscoprono la Legge Obiettivo

Sabato scorso ho avuto modo di leggere su tanti quotidiani una vera esplosione mediatica di cui riporto alcuni titoli: De Micheli: “Italia veloce, il mio piano da 200 miliardi nel progetto di Conte”; “Alta velocità in tutta Italia, strade e porti”; “Piano Mit da 200 miliardi; Ecco Italia veloce: 13 ferrovie e 39 strade. C’è la Torino-Lione. Il piano consegnato da De Micheli a Conte per gli Stati generali con le priorità infrastrutturali da 196 miliardi”.

Per un attimo ho pensato ad un colpo di Stato, ho pensato cioè che nella notte tra venerdì e sabato il Presidente Sergio Mattarella avesse deciso di sciogliere l’attuale compagine di Governo. Mi sembrava davvero strano che l’elenco delle opere proposte fosse identico a quello già previsto dal Programma delle Infrastrutture Strategiche approvato dalla Legge 443/2001 (Legge Obiettivo); sono rimasto sconcertato dal fatto che una compagine di Governo formata soprattutto dal Partito Democratico e dal Movimento 5 Stelle avesse riscoperto, avesse recuperato quell’elenco di opere che sia il Pd che il M5S per 5 anni avevano bloccato, osteggiato.

Per tutta la giornata di sabato ho cercato di leggere tutti i comunicati stampa, ho cercato di seguire i vari telegiornali perché ero sicuro che il Movimento 5 Stelle avrebbe preso le distanze da tale Piano, addirittura sarebbe uscito dal Governo. Invece non è successo nulla e, quindi, dopo anni di odio alla Legge Obiettivo, all’Alta velocità ferroviaria, alle grandi opere, dopo la capillare e assurda guerra nei miei confronti, il Movimento 5 Stelle si era convertito. Ancora più grave, penso, sia la responsabilità di chi, stando al Governo nel 2015 aveva praticamente bloccato questo Programma, mi riferisco all’ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, sempre del Pd, Graziano Delrio, cioè un ministro dello stesso partito dell’attuale ministra Paola De Micheli che oggi, invece, rilancia integralmente tutte le opere che per 5 anni sono state, con la scusa del project review, bloccate.

In un Paese normale, anzi in un Paese civile, il Parlamento dovrebbe quanto meno effettuare una verifica di responsabilità perché, come già detto, il Programma delle Infrastrutture Strategiche era stato approvato per legge ed era stato per ben due volte condiviso a scala comunitaria (nel 2004 e nel 2013 attraverso l’inserimento nelle Reti Trans European Network).

Fin qui il mio naturale sfogo, ora però ritengo opportuno soffermarmi su un altro punto: la dichiarazione rilasciata, sempre ad un quotidiano di sabato, dalla ministra De Micheli.

Alla domanda della giornalista Giovanna Vitale, “ma quanti soldi ci metterete? E soprattutto, li avete?”, la ministra ha precisato: “Il piano prevede 200 miliardi di investimenti in 15 anni; per circa 130 miliardi è già finanziato, il resto lo chiederemo all’Europa quando sarà definito il Recovery Fund

È evidente che di risorse disponibili c’è una cifra limitata, ad esempio nell’annualità 2020 ci sono appena circa 4 miliardi di euro, e ricordo sempre che in base al Decreto legislativo 93/2016 tutte le disponibilità finanziarie sono quelle legate alla annualità o al massimo al triennio. Quindi i 130 miliardi invocati dalla ministra sono solo risorse programmate nei vari Contratti di programma delle Ferrovie dello Stato e dell’Anas, ma non sono “cassa”, allo stato non sono disponibilità.

La ministra De Micheli non ha nessuna colpa perché in buona fede ha creduto in chi le ha fornito questi dati, in chi le ha fornito queste assicurazioni. Ricordo alla ministra che, volendo, è possibile recuperare, al massimo, come ho avuto modo di precisare pochi giorni fa, circa 28 miliardi di euro, in particolare dalle opere non attivate del Fondo di Coesione e Sviluppo e ulteriori 24 miliardi autorizzando concretamente i Contratti di programma delle Ferrovie dello Stato e dell’Anas; Contratti di programma fermi da quattro anni.

Penso quindi che forse non è più il tempo degli annunci, non è più il tempo degli impegni programmatici, oggi occorre solo dare concreto avvio almeno a quelle opere che, nell’arco di novanta giorni, siano davvero cantierabili. Invocare quadri programmatici faraonici e dare per scontata la disponibilità immediata delle risorse comunitarie rischia di trasformarsi in un rischioso boomerang per il Governo e per i due schieramenti, Pd e 5 Stelle, che ne fanno parte.

Per evitare, infatti, che qualcuno chieda perché per cinque anni c’è stata questa prolungata stasi, chieda perché per cinque anni si sia preferito erogare risorse per gli “80 euro per i salari minimi”, per “il Reddito di cittadinanza”, per “il Quota 100”; chieda perché in realtà si siano erogati 12-14 miliardi l’anno per finalità assistenzialistiche e non per investimenti, è opportuno ed urgente diventare gestore concreto ed operativo della “cosa pubblica”.

(*) Tratto dalle Stanze di Ercole

Aggiornato il 17 giugno 2020 alle ore 11:43