La riforma Nordio vista dall’avvocato Michele Sarno

Michele Sarno, avvocato penalista e cassazionista, è presidente emerito della Camera penale di Salerno. Attualmente difensore dell’onorevole Gianfranco Fini, abbiamo chiesto un suo parere in merito alla recente riforma della Giustizia effettuata dal ministro Carlo Nordio.

Avvocato, in questi giorni si sono sentite moltissime opinioni di magistrati ed opinionisti in merito alla riforma della Giustizia, ma pochi sono stati i commenti da parte dei professionisti forensi.

Il vero problema rispetto a questo è che purtroppo si paga un gap culturale nel nostro Paese per quel che riguarda il corretto approccio alle dinamiche inerenti alla giustizia. Ancora si ha una predilezione nell’ascolto della magistratura e dell’accademia, rispetto all’avvocatura. Quasi come se, sul tema della giustizia, l’avvocato sia figlio di un dio minore. Io ritengo invece che l’avvocatura abbia un ruolo nevralgico: in primis perché l’avvocato è il primo ad interfacciarsi con le norme garantendo la salvaguardia dei diritti dei cittadini; in secondo luogo, perché, con la propria esperienza, l’avvocatura potrebbe dare un notevole contributo alla produzione normativa, per adottare gli adeguati correttivi affinché la norma stessa possa adeguarsi in maniera puntuale alla realtà.

Se da un lato la magistratura, attraverso le proprie sentenze, contribuisce all’interpretazione della norma – e quindi fa giurisprudenza – non va dimenticato, dall’altro, che l’avvocatura fa dottrina: significa che con il proprio lavoro l’avvocato sollecita delle decisioni che poi vengono recepite dal giudice e divengono giurisprudenza. Entrambe le categorie sono quindi protagoniste nell’ambito di quello che è l’esercizio dell’interpretazione del diritto e della norma.

Sul tema delle interpretazioni vorrei sottolineare che vanno fatti ancora diversi passi avanti nel nostro sistema penale a favore dei cittadini. Da troppo tempo, infatti, si sta assistendo al venir meno del principio di tassatività a favore del principio dell’interpretazione della norma. Intendo dire che il precetto penale deve avere un linguaggio molto chiaro e facilmente comprensibile da tutti, proprio per evitare che le interpretazioni allarghino le maglie all’interno delle quali stabilire le responsabilità. Perché il cittadino deve essere messo in condizione di sapere quale comportamento corrisponde ad una sanzione da parte del nostro ordinamento. E lo deve sapere con precisione, senza possibilità di equivoci. Alle volte purtroppo, attraverso il linguaggio che anche il legislatore utilizza e che potrebbe essere non chiaro, si crea l’insidia dell’incertezza nell’applicazione del diritto. E questo non può essere in nessun modo condivisibile.

Recuperare il principio di tassatività non vuole dire in nessun modo negare la discrezionalità del giudice nell’applicazione della norma, ma esaltarla nei principi essenziali: il giudice può applicare la norma con discrezionalità quando però questa stessa discrezionalità è orientata e contenuta nell’alveo di previsioni normative ben precise. Altrimenti l’interpretazione della norma diventa produzione della stessa. Ed in Italia, è bene ricordarlo, la produzione della norma è affidata non agli avvocati o ai magistrati, ma ai rappresentati parlamentari scelti dai cittadini.

Bisogna essere molto cauti su questo argomento. E vorrei che il principio di tassatività venisse recuperato nell’ambito di un’interpretazione della norma che sia ancorata alla ratio della stessa, con la corretta aderenza al testo normativo. E credo che su questa tematica ci dovremmo interrogare e dovremmo tutti collaborare per arrivare alla definizione di un sistema che non sia percepito come incerto. Perché il diritto penale incide sulle libertà fondamentali di un individuo e non può essere incerto.

Entrando nel merito della riforma Nordio, parliamo dell’abolizione dell’abuso d’ufficio.

Partiamo dal presupposto che io condivido l’intervento del ministro Nordio, ma a questo arriverò dopo. In merito a questo punto ci sono delle voci distoniche laddove bisognerebbe prendere atto del fatto che le sentenze relative all’abuso d’ufficio hanno registrato assoluzioni in numero superiore al 90 per cento. Tutto ciò ci mostra chiaramente l’inutilità di mantenere in piedi una ipotesi delittuosa di tale tipo.

Sarebbe bello se si riuscisse ad affrontare il tema della giustizia, e delle relative riforme, senza levate di scudo ideologiche e politiche, e con un approccio che non contempli interessi di parte. Ma tutti insieme, tenendo davvero in conto il bene comune di tutti i cittadini.

E per quanto riguarda la prescrizione?

Parlando della tanto vituperata prescrizione, quella norma aveva il senso di velocizzare la durata dei processi, era uno stimolo a far presto, per evitare che chiunque incappi nelle maglie della legge ci debba rimanere per dieci anni. Invece è stata interpretata come una scappatoia dietro la quale si andavano a trincerare i presunti rei. Ma il senso nobile della prescrizione teneva in conto il senso stesso della pena: il nostro codice non prevede la sanzione punitiva, ma rieducativa e quindi risocializzante. E che senso può avere perseguire una persona a distanza di 10 o 15 anni? Ovviamente vanno fatti i dovuti distinguo sulla tipologia di reato. Nei casi più gravi questo discorso naturalmente decade. Ma nella maggior parte delle volte, invece, si tratta semplicemente di un principio di civiltà.

Va assicurato un diritto chiaro, certo, semplice e veloce. Esistono storie di personaggi pubblici che sono stati cancellati ed esposti al ludibrio pubblico a causa della lungaggine delle loro vicissitudini processuali, anche se poi sono risultati totalmente innocenti.

Avvocato, questo mi fa pensare ad uno dei suoi assistiti, Gianfranco Fini.

Non mi piace parlare di questo perché il processo è ancora in itinere, ma sicuramente è un esempio calzante. È esplicativo del meccanismo appena descritto: come è possibile aspettare 10 e più anni in attesa di una risposta così condizionante sotto ogni aspetto?

Torniamo alla riforma.

Personalmente sono d’accordo con la riforma, ma soprattutto con l’approccio del ministro Nordio perché davvero si sta impegnando per migliorare le cose. E ci tengo a chiarirlo: non perché sia un suo tifoso o un suo amico. Non conosco personalmente Carlo Nordio, provengo da una storia politica e personale molto diversa: lui ha un’esperienza da magistrato ed io da avvocato. Eppure, mi trovo totalmente d’accordo con quanto sta facendo perché convergiamo su dei punti chiave della concezione stessa di diritto.

Come nel caso delle intercettazioni: per quanto siano uno strumento fondamentale per quanto riguarda i reati più gravi – e nessuno lo ha mai messo in dubbio –, come è possibile che si sia arrivati al grave abuso di questo strumento per quel che concerne la divulgazione delle stesse. Meccanismo che innesca quel circo mediatico tanto citato quanto dannoso. Perché, anche nel caso di archiviazione o assoluzione, il danno ormai è stato fatto. Noi ci dobbiamo porre il problema: non si possono esporre vizi e virtù di una persona al pubblico ludibrio.

Parliamo del reato di influenze illecite.

Ora si fanno le polemiche perché la riforma è stata portata avanti da un governo di centrodestra. Ma, nella realtà, ogni tipologia delittuosa va studiata, approfondita e applicata. Su certe dinamiche, non ci rendiamo forse realmente conto che per tanti anni abbiamo rincorso un giustizialismo di maniera, che ci ha portato non solo a non applicare il diritto, ma ad avere una percezione distorta per la quale il diritto non fosse avvertito come tale dai cittadini. Oggi molto spesso le persone, in Italia, rappresentano il timore di ritrovarsi dinnanzi ad un tribunale e questo è uno degli aspetti peggiori in quanto, allorquando si registra la sfiducia nelle istituzioni non c’è nessuno che vince (e tutti perdono). La nostra missione deve essere quindi quella di ripristinare la fiducia e di fare sì che i cittadini si sentano rappresentati e parte di istituzioni che li difendono.

Ritorniamo un attimo al ruolo dei giudici…

Guardi, noi dobbiamo assolutamente attuare la separazione delle carriere, proprio per il discorso della fiducia da ripristinare nei confronti dei cittadini. In tal senso ritengo giusto ribadire un concetto a me caro: garantire anche “l’estetica” del processo. Un’estetica che non trova una piena e completa attuazione allorquando il cittadino diventa spettatore di comportamenti fraintendibili: immaginiamo tutte le volte in cui il cittadino in tribunale vede che il pm viene trattato con maggiore confidenza rispetto all’avvocato. È evidente che in tutti questi casi avrà dei dubbi. Dubbi che contribuiscono ad amplificare una sfiducia rispetto alla corretta amministrazione della giustizia. È proprio questo l’elemento primario da combattere. L’immagine, infatti, oltre che l’essenza nel settore Giustizia è fondamentale per accertare l’equidistanza dalle parti e quindi l’imparzialità nel giudizio. Tanto si può realizzare solo con la separazione delle carriere. E questo credo sia un tema di buon senso rispetto al quale non potranno non essere tutti d’accordo.

Eppure, ci sono state polemiche anche per il fatto che è stato introdotto un collegio di tre giudici per determinare la custodia cautelare.

Innanzitutto, la riforma andrebbe letta anche nei dettagli perché, ovviamente, prevede eccezioni alla regola e casistiche specifiche. Ma, in termini generali, stabilire un sistema di garanzie dovrebbe essere l’auspicio di tutti, da accogliere con favore.

Ritornando al discorso precedente va operata un’adeguata valutazione: il giustizialismo di maniera nato negli anni di Tangentopoli, che amava mostrare le manette, ha creato quel gap culturale che oggi è prioritario colmare. Si dovrebbe avere la capacità di immedesimarsi in una persona innocente allorquando viene arrestata: il dramma che vive questo essere umano può essere compreso semplicemente pensando “e se succedesse a me”? Ebbene, se partissimo da tale interrogativo, ci renderemmo conto che ognuno di noi auspicherebbe di avere la maggior parte di spazi e garanzie possibili atti a dimostrare la propria innocenza. Quindi, lo stabilire aprioristicamente un sistema di garanzie dovrebbe essere considerato un traguardo raggiunto da plaudire e non si dovrebbe seguire la deriva dei teorici giustizialisti che puntualmente, però, quando si sono ritrovati in prima persona ad affrontare dei processi, si sono scoperti garantisti!

Il nostro direttore, Andrea Mancia, ospite la scorsa settimana al programma di Floris su La7 ha avuto modo di interagire con Davigo (che è stato condannato ad 1 anno e sei mesi, ndr), proprio specificando quello che lei ora sta dicendo.

Confesso di aver visto la trasmissione e di aver apprezzato particolarmente l’intervento di Mancia, proprio perché rappresenta non solo il mio, ma il pensiero della maggior parte degli “addetti ai lavori”: il magistrato Davigo, nel momento in cui si ritrova a dover subire un procedimento penale, ha cambiato totalmente atteggiamento. Proprio perché un conto è la teoria ed un altro la pratica. La giustizia deve tenere conto della realtà dei fatti e della vita: è facile fare i giustizialisti con la pelle degli altri. Ed è facile, in tal modo, parlare alla pancia del Paese perseguendo un unico fine: raccogliere un consenso a buon mercato. Ma la questione Giustizia dovrebbe essere affrontata in maniera nobile e non certo per garantirsi un inconcepibile decimale di consenso.

Personalmente ritengo che il ministro Nordio andrebbe sostenuto e stimolato nel fare ulteriori riforme. Ovviamente, auspico sempre un sistema dove si possa esprimere il proprio dissenso, ma in modo costruttivo, proponendo soluzioni alternative dopo aver spiegato le motivazioni della propria contrarietà e non come sta accadendo oggi in cui il dissenso nei confronti dell’attività governativa appare solo frutto di una gratuita polemica.

Un auspico per il futuro?

Spero che il ministro prosegua nella strada delle riforme. E spero che ascolti anche tutti gli addetti ai lavori: oltre all’avvocatura, andrebbe ascoltata la polizia giudiziaria − che è quella che sul territorio va a perseguire i reati – come i cancellieri. Con la loro esperienza potrebbero dare indicazioni pragmatiche per facilitare il sistema e renderlo più agevole. Perché il “sistema Giustizia” si può rinnovare solo se abbiamo il coraggio di comprendere che bisogna remare tutti nella stessa direzione.

Aggiornato il 28 giugno 2023 alle ore 12:23