Far vivere l’ideale europeo

L’Europa – o meglio – l’Unione europea non è stata pensata dai padri fondatori come uno Stato. In primis, perché non avevano ritenuto maturi i tempi. E poi non è stata immaginata come Stato perché tale non deve essere, per esistere. Detta in maniera brutale: se si fa dell’Europa, di questa Europa, uno Stato “unito” come vorrebbe e afferma di auspicare, incoraggiando in tale senso, l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, crolla tutto. E i conflitti non tarderebbero a occuparne il territorio. Perché l’Europa è nata per evitare gli scontri bellici. Gli Stati, talvolta, sono destinati a volerle e a farsele le guerre.

Quando si auspica che le decisioni continentali vengano prese a maggioranza in Europa e non più all’unanimità, per fare fuori, nel caso specifico, chi come l’Ungheria di Viktor Mihály Orbán ha posto il veto contro decisioni e provvedimenti che il nostro presidente ritiene democratici ma che tali non sono percepiti, ecco che si stanno ponendo le basi per la ricostruzione non della pace, che c’è da settanta anni circa, ma dei conflitti che ribollivano prima di quel periodo. Prima della creazione della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.

I tempi sono quelli che sono, non si forzi la situazione già abbastanza traballante nel mondo. Questa Europa va riformata, non nel senso di trasformarla in una camicia di forza, ma in una istituzione e in una organizzazione più funzionante e più democratica nella solidarietà. Si è vista la sua inutilità quando avrebbe dovuto essere cristallina e, appunto, democratica. Si è rivelata, da tempo, sbagliata. Bisogna intendersi sul concetto di democrazia, che è la rispondenza il più possibile esatta e adesiva alla volontà popolare. Il che significa che un Governo di un Paese o Stato membro dell’Unione debba essere espressione della maggioranza della volontà popolare. Questo vale per gli Stati ma l’ideale europeo non è statale. La democrazia europea deve essere, sì, espressione della maggioranza della volontà dei cittadini europei. Ma l’Europa non è uno Stato, dato da un tutt’uno dei Paesi membri che lo compongono.

Insomma, gli Stati membri non sono né devono essere un solo Stato. Ma tanti Stati che convergono progressivamente nell’unità (il che è molto diverso). L’Europa è l’ideale di convergenza lenta e progressiva, che mai deve o dovrà farsi Stato perché, in quel caso, scomparirebbe. L’Europa deve essere un organismo di solidarietà tra Stati, non un unico Stato da tanti Paesi membri autonomi, politicamente ed economicamente. E in base a regole convergenti e affatto maggioritarie deve proporre e attuare politiche di solidarietà convergenti.

Forse un giorno l’Europa si costituirà come Stato – dubito – ma per il momento non si deve forzare la mano, soprattutto oggi che ha dimostrato di non essere all’altezza di niente laddove sorga l’esigenza di fare fronte ai terremoti nell’universo geopolitico. Ed è anche molto discusso il suo modo di essere e di procedere. In Italia si vorrebbero rivedere le prerogative (più che i poteri) e le competenze del Presidente della Repubblica – la Costituzione italiana le ha stabilite e scritte perfettamente – ma il problema è che i Capi dello Stato devono stare “dentro” quanto stabilito dalla Carta, non devono andare oltre.

Si è certi che Sergio Mattarella e il predecessore, Giorgio Napolitano, abbiano “sconfinato”, in totale buona fede. Ma non è così che devono andare le cose. Il ruolo è di garanzia, quasi di mera “omologazione” degli atti e provvedimenti legislativi e altri provenienti, in quanto votati a maggioranza dal popolo italiano. Da qui a fare e disfare i Governi, al posto del voto dei cittadini, ce ne vuole. Questo per dire che è importante non solo distinguere correttamente tra democrazia dello Stato membro, cioè l’Italia, e solidarietà democratica e convergenza progressiva nella costruzione europea, cioè dell’Europa. Ma è anche, soprattutto, non esondare: bisogna rimanere nei propri ruoli. L’Ungheria, Stato membro dell’Unione, per esempio, non è fuori dalle regole europee, e non si possono usare sanzioni europee o decisioni /imposizioni a maggioranza da parte dell’Unione come “clave” per implementare la necessaria solidarietà dell’Ue. Nel caso attuale, non vale per niente il detto chi ha tempo non aspetti tempo. Qui la questione è mantenere, per l’Europa, la possibilità stessa di avere il tempo.

Aggiornato il 22 dicembre 2023 alle ore 11:36