Per un liberalismo corale

Dopo la due giorni congressuale forzista, una domanda sorge lecita: ma com'è possibile che la plastica sia così durevole? Già, perché il movimento berlusconiano, sin dalla sua genesi, venne associato a questo materiale per sottolinearne la provvisorietà ed una precarietà politica finanche esistenziale. Ed invece. Probabilmente la critica più tenace al forzismo, oltre a contraddistinguersi per una certa miopia politica, ha sempre difettato nello studio dei materiali, altrimenti avrebbe dovuto sapere che la plastica può modellarsi e deformarsi senza per questo essere oggetto di rottura.

Fuor di metafora: Forza Italia rimane se stessa, nei suoi valori, nelle sue coordinate etiche e morali, nella sua filosofia rosminiana che pone l’uomo al centro di una sfera rappresentante della proprietà privata ivi inclusa la libertà di poterne godere a piacimento. Va da sé che la libertà, la proprietà privata, la tutela e la salvaguardia del proprio Io sono diritti naturali, ovvero diritti prepolitici che sussistono in quanto connaturati con l’essenza ontologica della persona. Lo Stato, quindi, non ha un ruolo di erogatore o di dispensatore di concessioni vitali ma si deve porre come un guardiano notturno, per dirla alla Nozick: una realtà istituzionale il cui unico compito è quello di tutelare e proteggere gli elementi basilari di una società davvero civile. Ripeto: Forza Italia è sempre stata questa nella lucida follia erasmiana di Silvio Berlusconi. Ed ora che il Cavaliere ha vissuto la sua apoteosi liberale, entrando di diritto nel pantheon di quei movimenti vocati all’individualismo che si materializzeranno sulla scena internazionale da qui fino ai prossimi decenni, è anche giusto che la follia onirica e visionaria del singolo si diluisca in un pragmatismo corale ma sempre fortemente ancorato a dei principi guida.

D’altronde lo si è capito benissimo durante le fasi salienti del congresso. L’eredità di Berlusconi non è ad esclusivo appannaggio di Antonio Tajani ma di tutti coloro presenti all’Eur: dal militante storico al ragazzo di domani che avrà la concreta opportunità di scalare il partito. Ecco la coralità intesa non come semplice inclusione, bensì come coinvolgimento. Perché ogni singolo iscritto e simpatizzante può imprimere un suo segno su di una storia giunta al secondo capitolo ma ancora con un futuro denso di emozioni e di prospettive ancora tutto da codificare.

A pensarci bene, forse vi è un termine ancora più appropriato rispetto a quello del “coinvolgimento”: mi riferisco alla “fusione” dacché il fusionismo è stato il timbro originale che ha permesso di suggellare l’avvio di quello Spirito del 1994 che anima tuttora Forza Italia. Il fusionismo inteso come processo di amalgama paziente ma pervicace che ha consentito di mescere quelle che, al tempo, cioè all’indomani del ciclone giudiziario rappresentato da Tangentopoli, Sandro Bondi definì delle vere e proprie eresie politico-culturali: il liberalismo einaudiano appunto, ma anche il riformismo laico rosselliano e il popolarismo sturziano.

Dalla giunzione di questi tre filoni nasce il partito liberale di massa. Al netto di una rivoluzione che fin qui non è riuscita ad impattare seriamente sul Leviatano nel nostro Paese, di certo non sono venute meno le motivazioni alla base di quella impostazione politica impastata di buon senso e di un conservatorismo di matrice anglosassone che vede nella costanza e nella persuasione le sue effigi identitarie. Non è facile portare avanti un progetto politico coerente con i dettami garantisti, atlantici, europei, giudaico-cristiani e liberali senza avere più un Maradona che palleggi divinamente in questa costellazione di cardini occidentali. E pur tuttavia è necessario provarci.

Il Cavaliere ha lasciato una casa, un custode esperto che sa dove è giusto dirigersi e un numero cospicuo di marinai pronti a dedicare gran parte del proprio tempo a orientare la navigazione verso lidi più consoni per un domani con meno Stato, meno tasse e meno burocrazia e, parimenti, con più mercato, più individuo e più libertà. Un’eredità siffatta non dovrà essere dilapidata poiché, in caso contrario, a perderci saremmo tutti noi. Nessuno escluso.

Aggiornato il 27 febbraio 2024 alle ore 09:04