Roma, città “green” tra manutenzioni mancanti e ritardi

Un patrimonio arboreo sterminato, tra i più imponenti d’Europa (primo Comune per ettari di verde pubblico) e del mondo. La città di Roma è senza ombra di dubbio una delle metropoli più “green” dell’interno pianeta, quantomeno dal punto di vista della morfologia territoriale. Basti pensare che le riserve naturali della Capitale coprono circa il 67 per cento della sua superficie e misurano ben 85mila ettari (di cui 4mila ubicati solo nell’area centrale), comprese le coltivazioni.

Oltre ai parchi e alle ville, è ricca di arbusti, piante e vegetazione tipici dell’area centrale del Belpaese, del Lazio in particolare. Ai parchi e alle immense ville sopracitati si affiancano inoltre le aree verdi presenti nelle zone residenziali e periferiche della città che, seppur di dimensioni ridotte, costituiscono il vero e vasto polmone della Capitale, migliorando la qualità dell’aria e dell’ambiente di una metropoli caotica e perennemente affollata da residenti e visitatori.

Roma conta la presenza di oltre 314mila alberi, un terzo dei quali (119mila) si trova su sede stradale. Ricca di riserve naturali estese su un territorio di 415mila metri quadrati, la Città Eterna si è sviluppata mantenendo una quota enorme di terreni destinati all’agricoltura: il 43,9 per cento rispetto alla superficie complessiva. Se la materia prima, ossia le aree verdi, non è mai venuta a mancare, lo stesso non si può tuttavia dire della manutenzione relativa ai parchi, alle ville e agli altri spazi “green” della Capitale. Ne è un esempio Villa Lazzaroni dove l’erba del prato è ormai inesistente, a causa di un problema legato all’impianto d’irrigazione, quest’ultimo rotto da circa sei anni e mai riparato dal Comune capitolino. L’area verde rappresenta un importante polmone per il popoloso quartiere Appio-Latino, ma versa in condizioni indecorose, con piante seccate e zone transennate.

Per quanto riguarda le manutenzioni degli alberi invece, nel corso dello scorso mese di aprile è entrato in funzione un bando europeo che destina alla Capitale ben sessanta milioni di euro in tre anni per effettuare potature, manutenzioni ordinarie ed eliminazione delle vecchie ceppaie. Un risultato senz’altro positivo, se non fosse per le tempistiche, dal momento che il bando è entrato in vigore dopo cinque anni di Amministrazione e in una stagione in cui, paradossalmente, le potature andrebbero evitate.

Problemi organizzativi e gestionali che si ripetono, e non sono stati mai del tutto risolti. Già nel 2017 il bando da 9 milioni per la manutenzione verticale e orizzontale venne sospeso per autotutela. La gara, di fatto, non era conforme al nuovo Codice degli appalti e ne conseguì un vuoto manutentivo durato più di un anno, che finì con il penalizzare soprattutto il settore inerente alle potature. In tema di alberature va poi ricordata l’inerzia dell’Amministrazione comunale capitolina nella gestione di un drammatico problema: la cocciniglia tartaruga. Il parassita, un insetto alieno privo in Italia di predatori naturali, è giunto a Roma nel corso del 2018. A farne le spese sono state le pinete a sud della Capitale, da quelle presenti nel Municipio X a quelle situate nel Municipio IX. Anche gli alberi di Mostacciano, Castel di Decima e Spinaceto ne hanno pagato le conseguenze.

Il fenomeno, per un paio di anni rimasto circoscritto a Roma Sud, nel 2020 ha preso vigore, estendendosi in tutti i quadranti della città. La diffusione del parassita, che impedisce ai pini di effettuare la fotosintesi, causandone la morte, andava contrastata seguendo linee guida che sarebbero dovute arrivare dalla Regione Lazio, ma l’impegno del Campidoglio per ottenerle è stato blando e l’Amministrazione comunale ha agito in ritardo anche nel promuovere delle soluzioni sperimentali, intraprese invece da soggetti privati, comitati cittadini e dai giardinieri del Vaticano.

In ogni caso, il Dipartimento Tutela ambientale non è chiamato a gestire soltanto le alberature capitoline, bensì ha la responsabilità di amministrare una cospicua quota di verde pubblico (circa il 10 per cento della superficie complessiva) costituita da aree naturali e parchi agricoli. Un’enormità, soprattutto in considerazione delle scelte poco oculate e tutt’altro che lungimiranti perpetrate dalle Amministrazioni precedenti. Il vuoto manutentivo, causato dall’incapacità di fare una gara in linea con il Codice degli appalti, non è stato l’unico problema. Sono mancate, e continuano a mancare, soluzioni e iniziative serie, valide, che consentano di aumentare l’organico del comparto giardinieri della Capitale e di agire con interventi mirati su vasta scala, ettaro per ettaro, con controlli ciclici ed efficaci.

Di certo, la svolta non sarebbe mai potuta essere costituita dall’impiego delle “pecore tosaerba”, discutibile idea lanciata della giunta Raggi appena tre anni fa e mai realmente approfondita. Non si può infine non parlare dell’ingente quantità di territorio romano destinato all’agricoltura (come detto, 43,9 per cento circa del totale) da anni priva di adeguati investimenti atti a valorizzarne pienamente tutte le potenzialità. Una grave perdita, in termini di ricavato, per uno dei settori più strategici dell’intero tessuto imprenditoriale capitolino.

Aggiornato il 30 giugno 2021 alle ore 13:08